La fecondazione assistita nella mente e nell’anima

L’infertilità non è soltanto un problema fisico ma ha numerosi risvolti psicosociali e sessuali. Da Rossella Nappi, ginecologa del Centro di Medicina Riproduttiva dell’Università di Pavia, un aiuto per affrontare questa prova in modo più consapevole.

di Mariateresa Truncellito

I centri di procreazione medicalmente assistita hanno l’obbligo di assicurare alla coppia un sostegno psicologico: l’esperienza dell’infertilità ha infatti numerosi risvolti psicosociali e sessuali e non è solo un problema fisico. L’uomo e la donna devono capire che stanno affrontando un ‘non-evento’ riproduttivo, in se stessi e nei confronti del mondo. E che l’aiuto medico di cui hanno bisogno si tradurrà in un’intrusione nella loro sfera intima.

I consigli di Rossella Nappi, ginecologa del Centro di Medicina Riproduttiva dell¹Università di Pavia

UNA PROVA DI CORAGGIO – L’esperienza clinica definisce l’infertilità come ‘un immenso stress cui la coppia deve adattarsi’. Di fatto, è una prova di coraggio: per l’individuo, che deve accettare la sua condizione. Per gli aspiranti genitori che decidono di intraprendere il percorso della fecondazione assistita. E per la coppia stessa, che alla fine di questo percorso potrà o no riscegliersi oltre il ‘progetto figlio’ che, realizzato o fallito, avrà comunque ristrutturato il senso dello stare insieme.

In Italia circa il 40% delle coppie che si rivolge alla Pma abbandona dopo un solo tentativo fallito. Un adeguato sostegno psicologico permettere di reggere meglio lo stress.

La pratica clinica mostra che le coppie che accanto alla fecondazione assistita seguono un percorso parallelo di terapia cognitivo-comportamentale (singola o con altre coppie) hanno un risultato migliore sul piano del benessere psicofisico. In Italia circa il 40% delle coppie che si rivolge alla Pma abbandona dopo un solo tentativo fallito.

Ma prima di arrendersi, sarebbe necessario almeno esaurire tutte le possibilità che lo specialista ritiene ragionevoli per il caso specifico. Un adeguato sostegno sul piano psicologico permette di reggere meglio allo stress di un esito negativo e di non arrendersi troppo presto.

L’ADATTAMENTO – L’ infertilità è una malattia caratterizzata dal vuoto: l¹assenza del bambino immaginato. Un lutto difficile da elaborare: perché non c’è la perdita di qualcosa di reale, ma di un se proiettato nel futuro. Accettare la scoperta che un processo che si considera naturale e ovvio – diventare genitori, nell’ambito di un più ampio progetto di coppia – non lo è affatto. È una scoperta quasi sempre inattesa e perciò devastante.

L’infertilità è un ‘non-evento’ critico nella vita evolutiva, con un impatto più marcato nella donna che è ‘normalmente’ creatrice, ma con una medesima conseguenza nell’uomo, che sente di disattendere al suo potere ‘fecondante’: fa venir meno il pilastro biologico dell¹identità sessuale. La persona deve ristrutturare se stessa in base a questa nuova scoperta che è una deviazione dalla norma.

LA VERGOGNA – L’adattamento riguarda anche il rapporto con il mondo. La coppia infertile deve confrontarsi con la società e questo può far nascere sentimenti di vergogna e di colpa. La donna che lavora può temere l’accusa di aver puntato troppo sulla carriera. L’uomo, soprattutto in certi contesti socio-culturali, sente messa in discussione la sua virilità. Tutto ciò può portare la coppia a isolarsi, a smettere di frequentare amici o parenti con figli e a rifuggire le feste comandate in famiglia.

Di fatto, le dinamiche familiari si squilibrano e possono insorgere conflitti, anche profondi: in particolare quando della sterilità di coppia viene ritenuto responsabile ­ e quindi ‘colpevole’ – solo uno dei due partner, che diventa colui (o colei) che ha tolto all’altro la possibilità di diventare genitore.

La vergogna a volte si traduce in un bisogno di segretezza: si tiene nascosto ‘il problema’ ad amici, familiari e colleghi e c’è che arriva persino a scegliere un centro di Pma lontano dalla propria città per non trovarsi nella stessa sala di attesa con possibili conoscenti che potrebbero rendere pubblica l’infertilità della coppia.

 

La donna porta il peso maggiore ma è anche più pronta a parlare con lo specialista di come si sente

LA FATICA DELLA TERAPIA – Nel processo di adattamento uomini e donne non sono uguali. La donna vive l’infertilità nel suo corpo, l’uomo nella sua mente. E questo a volte crea tensioni. La donna porta il peso maggiore, in termini di accertamenti e terapie. In generale, è più disponibile a parlare con lo specialista di come si sente e ad ammettere le difficoltà nella vita di coppia, comprese quelle sessuali.

L¹uomo che deve affrontare una diagnosi di infertilità ha pure uno stress molto forte, e per la sua tendenza a non condividerlo spesso è la metà più fragile della coppia. È più ansioso e meno introspettivo, anche perché ha minor controllo su quello che accade. Non è raro che insorgano problemi nella sfera dell’identità sessuale: come disfunzioni erettili, provocate soprattutto da calo del desiderio e ansia da prestazione.

UN PROBLEMA DI COPPIA – Ma l’infertilità è sempre di coppia: anche nelle rare situazioni in cui c’è un problema fisico imputabile a solo uno dei due partner – malformazioni cromosomiche, tube chiuse, un pregresso tumore ai testicoli o età avanzata ­è importante evitare attribuzioni di colpa. Il problema è condiviso da quell’universo coppia’, e sono quei due partner ­e non altri, e non con altri ­che desiderano un figlio.

È necessario anche capire che la risposta a qualsiasi trattamento medico dipende in buona parte da quanto si è disposti a (o da quanto è possibile) modificare il proprio stile di vita: non si può continuare, per esempio, a lavorare a ritmi sostenuti, seguire una dieta sregolata, andare in palestra ogni sera, fumare, dormire poco, fare sesso solo in vacanza. Anche la vita quotidiana deve essere parte del complesso percorso di adattamento: tutte le energie andranno dedicate a un progetto assai più impegnativo di una gravidanza ‘normale’.

Un adeguato counseling prepara la coppia ad affrontare anche i contraccolpi delle terapie: durante i trattamenti ormonali sindromi depressive e disturbi d¹ansia sono normali. Se la coppia lo sa, avrà meno paura di affrontarli.

SE SI SMETTE DI FARE L’AMORE – La lunghezza dell’iter diagnostico, gli insuccessi, la sensazione di essere espropriati della propria intimità ­ alla coppia viene chiesto di avere rapporti sessuali programmati – insieme all’ansia possono trasformare un problema di infertilità in un problema sessuale.

Si osserva un frequente calo del desiderio con deficit erettivo e ansia da prestazione proprio in coincidenza della fase ovulatoria, quando la donna percepisce al massimo il suo desiderio, a volte con richieste pressanti verso il partner a completo discapito dell¹aspetto ludico ed erotico. Di fatto, c’è una ferita profonda, causata dalla scissione netta tra il desiderio ­e quindi le componenti emotive, relazionali e di piacere ­ e la procreazione.

GESTIRE IL RISULTATO – I sintomi sessuali, per fortuna, spesso solo transitori. In molti casi c’è un miglioramento del livello di comunicazione e intimità nella coppia. Può accadere anche se la fecondazione assistita non ha avuto esito positivo: a volte le coppie rielaborano insieme il lutto e valorizzando i pilastri dell’identità di cui dispongono ­ una relazione sessuale soddisfacente, un lavoro gratificante e un buon grado di autostima ­ accettano l’idea che non saranno genitori biologici ed escono rafforzati dall¹esperienza.

http://www.nostrofiglio.it/preconcepimento/fecondazione-assistita/la-fecondazione-assistita-nella-mente-e-nell-anima.html?type=art