Fecondazione, il sud paga “pegno”: costa solo alle donne del mezzogiorno
La “discriminazione” vale anche per la fecondazione, così la residenza influenza le spese delle donne italiane che cercano di avere un figlio per mezzo dell’assistenza scientifica.
Così, in un periodo di pesanti difficoltà economiche per la sanità, di governatori che fanno i salti mortali per non chiudere in rosso i bilanci, di fondi nazionali che aumentano troppo poco, qualcuno ha detto basta: la fecondazione omologa ed eterologa non si rimborsa più, resta a carico dei pazienti, ma solo al sud. La Puglia è apparentemente la più motivata a non rimborsare più la pma ma anche Calabria, Sicilia e Campania hanno detto stop. Qualcosa si muove anche in Trentino Alto Adige. Non ancora chiara la situazione nel Lazio. Ai centri pubblici o convenzionati toscani, umbri, lombardi, veneti o emiliani in questi giorni stanno arrivando lettere del proprio assessorato che invita a informarsi sulla provenienza dei pazienti: chi arriva da una delle regioni che non paga deve avere un foglio della Asl che attesta un rimborso oppure deve pagare a prezzo pieno.
In certi casi sono state fissate delle tariffe, come in Puglia dove si parte da 1.600 euro, somma ben più bassa dei 3-4mila euro richiesti dai privati. Visto che nella sola Toscana sono circa 3.500 le persone che arrivano dalle realtà che hanno bloccato i rimborsi, si stima che siano almeno 10-15 mila le coppie che per cercare di avere un figlio dovranno pagare l’intera prestazione.