Fecondazione assistita, solo il 22% riesce a far nascere un bimbo ma il ricorso all’eterologa è marginale. L’indagine Censis-Ibsa sulle coppie

Sulla soglia della quarantina e con un impiego stabile, desiderosi di avere un figlio che non arriva naturalmente dopo averci provato in media quasi 4 anni. E’ l’identikit delle coppie che si rivolgono ai centri per la procreazione medicalmente assistita, ricostruito in una indagine Censis-Ibsa secondo la quale solo il 22% degli aspiranti genitori arriva a far nascere un bambino. Si tratta di famiglie privilegiate, di ceto medio-alto: la fecondazione assistita in Italia riguarda specialmente le persone istruite con uno stipendio poco precario.

Censis-Ibsa torna a fotografare le coppie della fecondazione artificiale con il dossier “Diventare genitori oggi: il punto di vista delle coppie in Pma”. Otto anni nei quali la legge 40 è cambiata e il cambiamento certamente più significativo riguarda la possibilità di accedere all’eterologa – utilizzando cioè semi oppure ovuli di donatori terzi. Un argomento sollevato recentemente nelle cronache dopo l’arresto del ginecologo Severino Antinori, accusato di aver sedato una collaboratrice per prelevare i suoi ovuli senza consenso: gli ovociti dovevano servire a soddisfare la richiesta di coppie che si erano rivolte al celebre medico per ottenere una gravidanza con l’eterologa.

L’eterologa. Tuttavia il ricorso all’eterologa rimane marginale se è vero che secondo il rapporto Censis riguarda il 2,6% delle coppie che accedono alla Fivet (il 60,9%) e l’1,7% di coloro che si sottopongono a Icsi. Per la stragrande maggioranza delle persone intervistate (80,9%) l’eterologa dovrebbe essere disponibile per tutti, il 46,1% chiede che sia eliminato il divieto di utero in affitto.

Età avanzata. Si tratta di coppie ormai non più giovanissime: gli uomini hanno in media 39,8 anni, le donne 36,7. I tempi per loro si sono dilatati rispetto all’ultima indagine: attendono più a lungo prima di sospettare un problema di infertilità (15,5 mesi rispetto ai 12,2 del 2008) e rimangono più indecisi rispetto alla scelta di rivolgersi a un medico – solitamente il ginecologo – per chiedere indicazioni sull’accesso alla procreazione medicalmente assistita.

L’età media avanzata non contribuisce certamente al successo delle tecniche fecondative, visto che solo il 22% degli aspiranti genitori arriva davvero a far nascere un bambino.

Dal primo contatto con il medico al ricorso al primo centro di Pma trascorre poco più di un anno (12,7 mesi), un percorso ancora più lungo per le coppie meno istruite (19,2 mesi). Il ginecologo è il professionista a cui si rivolge la maggioranza delle coppie (72%) e rispetto al 2008 è raddoppiata la quota di chi si è rivolto direttamente allo specialista del centro di Pma (14%).

Solo al 55% delle coppie è stata riconosciuta una condizione clinica come causa specifica dell’infertilità (circa 9 punti percentuali in meno rispetto alla precedente indagine). A prescindere dalle motivazioni, i tempi di attesa variano: più lenti se il centro è pubblico, più rapidi se il centro è privato. In media dai 3 mesi a un anno.

La differenza dei costi. Ma a fare la differenza sono i costi e questo dipende da regione a regione: soltanto per il 14% delle coppie ha pagato il servizio sanitario regionale, gli altri hanno pagato un ticket oppure hanno pagato di tasca propria. In questo ultimo caso il costo dell’ultimo ciclo di Pma si è aggirato mediamente intorno ai 4.000 euro (4.200 euro al Nord, 5.200 al Centro, 2.900 al Sud). Per chi ha pagato il ticket presso centri pubblici e privati convenzionati, il costo è in media di 340 euro (280 euro al Nord, 700 al Centro, 370 al Sud).

Impatto psicologico. Per l’82% delle coppie la frustrazione derivante dai tentativi di concepimento falliti ha un impatto negativo sul vissuto quotidiano. Per il 61% la difficile conciliazione tra le esigenze della terapia e del lavoro costituisce una fonte di disagio. Per il 52% il problema dell’infertilità è diventato un pensiero costante, al punto che risulta difficile pensare ad altro. Il 46% teme gli effetti collaterali delle terapie. Il 42% fa riferimento, come fonte di disagio, alla medicalizzazione di aspetti della vita intimi e personali, come la procreazione e la sessualità. Al 41% il disagio deriva dalla sensazione di essere diversi dalle altre coppie. Il 30% denuncia una scarsa comprensione e condivisione del problema da parte dei familiari più intimi e degli amici (un problema che riguarda principalmente le coppie più giovani: 42%).

“Le coppie attualmente impegnate in un percorso di Pma cominciano sempre più tardi a cercare una gravidanza, come dimostra l’incremento dell’età media dei partner, il che impatta sulle possibilità di successo delle tecniche: la percentuale di gravidanze sulle coppie trattate, considerando tutte le tecniche, è attestata intorno al 22%”, ha detto Ketty Vaccaro, responsabile dell’area Welfare e Salute del Censis. “Sono coppie privilegiate sotto il profilo sociale ed economico, il che fa supporre che l’accesso al percorso sia difficile, se non precluso, a chi ha meno risorse e livelli di istruzione più bassi. Per queste coppie il percorso di Pma appare più lungo e complesso ed è comunque fortemente differenziato a livello territoriale, anche a causa di una offerta caratterizzata dalla prevalenza di strutture private”, ha concluso Vaccaro.

Fonte, http://www.huffingtonpost.it/2016/05/18/fecondazione-eterologa-ce_n_10017500.html