Figli in provetta: cosa raccontare?

Bisogna dire ad un bambino che è nato grazie alla fecondazione artificiale? E se la fecondazione è stata eterologa? Pare impossibile, ma a quasi trent’anni dal primo bambino nato grazie ad una provetta, e durante tante polemiche sui limiti da dare alla procreazione assistita, queste domande, di fondamentale importanza sono state solo sfiorate.

La situazione in Italia
Nel nostro Paese si calcola che oggi quasi il 2% dei bambini che nascono, vedono la luce grazie a tecniche di procreazione artificiale. Dal 2004, in Italia però, è stata proibita la fecondazione eterologa, cioè con gameti estranei alla coppia; ma sono numerosissime le coppie che richiedono all’estero tale procedura. In alcuni paesi poi, come la Svizzera, i donatori non sono anonimi. E comunque se si vuole rimanere nel proprio Paese, è possibile fare la fecondazione assistita con i propri ovuli e spermatozoi.

Necessario raccontare tutto ai figli?
Sono molti gli psicologi concordi sul fatto di raccontare sempre la verità ai figli, non solo perché con un test del Dna potrebbero prima o poi scoprirlo, ma per sincerità e rispetto verso il proprio pargolo. Per prima cosa, i genitori, prima di rivolgersi alla PMA (procreazione Medicalmente Assistita) dovrebbero aver risolto i conflitti con la propria infertilità. Se questo è avvenuto sarà tutto più semplice, anche il racconto ai figli. Nel caso in cui il padre non sia quello biologico, non per questo si sentirà sminuito, e la donna non percepirà al proprio fianco un compagno “debole”, con il rischio di fantasticare troppo su un onnipotente donatore.
Parlare è liberatorio, la serenità che i genitori ne guadagnano si riversa sui figli.

Quando farlo?
È importante parlare con i figli, fin dalla prima infanzia, verso i due anni, per poi ritornare sull’argomento verso i cinque con informazioni più articolate. Prima di questa età, quando i bambini fanno domande su come si nasce vogliono, non tanto sapere come sono nati loro, ma come si viene al mondo in generale. Intorno ai 5 anni, poi, i piccoli iniziano a costruire il loro romanzo famigliare, fantasia cosciente di avere genitori diversi da quelli reali, biologici, sociali o adottivi che siano. Queste fantasie permettono di superare meglio il conflitto edipico, spostando gelosia e rivalità verso figure immaginarie.

Come farlo
I genitori, possono costruire una storia, da raccontare al bambino, in cui gli si spiega la verità. Se non si ha fantasia è in commercio un libroMamma raccontami come sono nato edito da Mamme on line, che aiuta con il simbolismo ad avvicinarsi ad una realtà che andrà poi rispiegata man mano che si cresce. È importante però, iniziare a parlare presto, e non illudersi che rimandando il discorso all’adolescenza il figlio sia più pronto. In questo periodo è già difficile parlare con i figli, figuriamoci di certi argomenti. Rischieremmo solo di far chiudere il figlio in se stesso, alimentando fantasie e sofferenze inutili.

Fonte, http://www.amando.it/mamma/concepimento/figli-in-provetta-cosa-raccontare.html