Utero in prestito, in un libro-inchiesta la voce delle donne sui perché della (libera) scelta
C’è chi lo fa per soldi e chi per altruismo, chi per amicizia e chi per tutti i motivi insieme. E non vogliono essere chiamate ‘madri surrogate’, perché “essere madri significa crescere e amare un figlio, non solamente partorirlo”
di SILVANA MAZZOCCHI
Maternità surrogata, madri che partoriscono per altri. Una scelta che divide, un argomento per noi fuorilegge che scatena accese discussioni e interminabili polemiche. C’è chi difende la libertà delle donne di scegliere, e dunque anche quella di partorire per altri, chi condanna questa pratica senza se e senza ma e chi denuncia il rischio che, soprattutto le donne povere, siano spinte o costrette a vendersi per coloro che pagano. In breve, siano di fatto ‘comprate’, come schiave. Ma, raramente o mai, vengono ascoltate le protagoniste, le ‘madri surrogate’, come vengono definite con un termine che a molte donne non piace.
Un libro – inchiesta Mio tuo suo loro (Fandango) , di Serena Marchi, giornalista da tempo impegnata su tematiche femminili, dà ora voce alle madri che prestano il proprio utero e un pezzo della loro vita per partorire figli destinati ad altri e punta a verificare sul campo che cosa queste donne pensano nella realtà. Perché lo fanno? Convinta della necessità di tenere al centro della questione la libera scelta delle donne, Marchi è andata a intervistarle. Ha percorso quasi 35.000 chilometri, ha attraversato gli Stati Uniti e mezza Europa, ha visitato le loro case, si è immersa nel loro ambiente sociale. E faccia a faccia, ‘pelle a pelle’, ha parlato con loro e con le loro famiglie. Le donne hanno risposto e raccontato: lo hanno fatto e lo fanno per motivi diversi, per soldi, per interesse certamente (e, in proposito, sarebbe stato interessante avere un dato, sebbene per approssimazione, di coloro che sono state pagate). Ma lo hanno accettato anche per altruismo, amicizia, affetto, oppure per convenienza mista a tutto il resto. Sempre, però assicura l’autrice, scegliendo liberamente. O quasi sempre. Poiché, come sottolinea la stessa Marchi , “la letteratura scientifica riporta che i ripensamenti delle donne che hanno partorito per altri costituiscono una percentuale relativamente bassa, confinabile tra l’1 per cento e il 4-5 per cento (Nicola Carone, In origine è il dono, Il Saggiatore 2017). Mentre le altre sono felici, soddisfatte e fiere di quello che hanno fatto.”
Come spesso avviene per le questioni inerenti alla libertà individuale, specie quando confliggono anche con le convinzioni religiose e con la morale corrente, non avviene quasi mai che si riveda la propria opinione. E, probabilmente neanche Mio tuo suo loro servirà a spostare l’asse degli schieramenti, ma cambiare sguardo e ascoltare la voce delle donne protagoniste può essere comunque utile per acquisire una conoscenza più esaustiva sull’argomento. Potrà servire a restituire il posto giusto alla centralità della donna, qualsiasi sia la motivazione che esprime.
Resta da dire che, per completare davvero il quadro, sarebbe utile ascoltare anche le parole di quella fetta (piccola, ma esistente) di donne che, dopo averlo fatto, ci hanno ripensato. O magari di quelle che avrebbero potuto farlo, ma non hanno accettato.
Faccia a faccia, dall’Ucraina, agli Stati Uniti, all’Europa. Che cosa hanno da dire ‘le donne che partoriscono per altri’?
Raccontano chi sono e perché hanno deciso di partorire figli per altri. Hanno tutte figli propri e non vogliono essere chiamate madri surrogate. Per loro, essere madri significa crescere e amare un figlio, non solamente partorirlo. Hanno quindi molto chiara la distinzione tra gravidanza e maternità e tengono separate le due cose lucidamente. Restano sorprese delle discussioni molto accese che si susseguono da qualche anno nel nostro Paese e ridono quando si chiede loro se non si sentono usate, sfruttate, schiavizzate. Sono donne che hanno ben presente cosa significhi scegliere e hanno una forte consapevolezza del proprio corpo. Le donne decidono anche per chi partorire, nessuno glielo impone. E spesso scelgono coppie in cui la donna ha subito l’esportazione dell’utero per un cancro o che ricordano loro la sofferenza di amici o famigliari vissuta da vicino. La letteratura scientifica poi riporta che i ripensamenti delle donne che hanno partorito per altri costituiscono una percentuale relativamente bassa. Le altre sono felici, soddisfatte e fiere di quello che hanno fatto.
La maternità surrogata è al centro di mille polemiche, perfino tra le femministe. Lei ha svolto un’inchiesta sul campo, qual è il suo parere?
A me pare che fino ad oggi si sia fatto un processo senza conoscere fino in fondo la realtà dei fatti e senza dare spazio alle protagoniste. Le donne che partoriscono per altri sono state sentite raramente, la loro voce non ha avuto peso e sono state raramente interpellate nei dibattiti. Esiste molta confusione e molti pregiudizi sul mondo della gestazione per altri, perché è una realtà molto complessa e articolata, fatta sicuramente da infinite sfumature di grigi e che va a toccare le viscere di tutti noi. Io credo fermamente nella libertà di scelta delle donne, perché le donne hanno una coscienza, anche se a qualcuno può sembrare impossibile. Le donne che ho incontrato non sono obbligate da nessuno. Mi chiedo come si faccia ad essere così sicuri di certe posizioni e quindi così convinti che la propria idea, la propria etica e i propri pensieri debbano essere imposti a tutti gli altri. Andrei molto cauta, soprattutto nella richiesta dell’abolizione mondiale della gestazione per altri. Perché in questo modo si negherebbe la libertà di scelta; anche se ce ne fosse solo una che sceglie di partorire per altri, io la rispetterei.
Madri surrogate e libertà. Che idea si è fatta dopo aver ascoltato la voce di tante donne?
Che le donne non sono, fortunatamente, tutte uguali. Che ognuna di noi ha le proprie idee e le proprie convinzioni. Ognuna delle portatrici ha una sua storia, una sua ‘missione’, un suo perché. E ognuna delle donne che decide di diventare madre con la gestazione per altri altrettanto. Le cose e le situazioni sono molto diverse da Stato a Stato, da cultura a cultura e non si può continuare a giudicare tutto con il metro eurocentrico, è riduttivo e soprattutto inutile. Per questo resto ferma sul mio pensiero: dovremmo continuare a lottare per la libertà di scelta di ogni singola donna, qualunque essa sia. Si fa presto a giudicare e a condannare, magari senza conoscere come stanno veramente le cose. Si può non essere d’accordo, si può non capire e si può non condividere. Ma è nostro dovere rispettare.
Fonte, http://www.repubblica.it/rubriche/passaparola/2017/03/14/news/utero_in_prestito_in_un_libro-inchiesta_il_perche_della_scelta_delle_donne-160519010/