Maternità surrogata, una sentenza che invita a riflettere
Nel novembre 2014, una sentenza della Corte di Cassazione civile ha ribadito il divieto di maternità surrogata in Italia, dichiarando che la pratica per cui una donna si dà disponibile a sostenere una gravidanza e a partorire un figlio per conto di un’altra donna, è contraria all’ordine pubblico.
L’ordinamento italiano, per il quale è madre solo e soltanto colei che partorisce, prevede l’espresso divieto dell’utero in affitto: tanto è sancito all’interno della L. 40/2004 che prevede, per chi realizza una maternità surrogata, la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da 600.000 a un milione di euro. Nel corso degli anni, la Legge 40 è stata travolta da numerose pronunce di incostituzionalità ed il suo scheletro, inizialmente fatto esclusivamente di divieti, è stato completamente rivoluzionato: dalla fecondazione eterologa alla diagnosi preimpianto, tale Legge è da sempre al centro del dibattito tra etica e diritto.
Qualcosa, dunque, ancora si sta muovendo e un altro baluardo, sembrerebbe, sta per essere abbattuto: proprio quello del divieto di maternità surrogata.
È ancora a lieto fine, infatti, l’ultima delle storie di cronaca che ha per protagonisti due genitori che si sono recati all’estero per far nascere i loro bambini grazie al cosiddetto ‘utero in affitto’: il Tribunale di Milano ha sancito la loro assoluzione dal reato di ‘alterazione di stato’, per cui rischiavano fino a 15 anni di carcere.
Come tante altre coppie, i due si erano recati in Ucraina, dove questa pratica è legale e, grazie ad una madre surrogata , avevano fatto nascere due gemelli.
Il problema penale si è posto, però, quando i due genitori hanno richiesto all’ambasciata italiana in Ucraina la trascrizione dell’atto di nascita redatto dall’ufficiale civile del luogo, dichiarando di essere la mamma ed il papà dei due neonati. Gli atti venivano immediatamente trasmessi alla Procura competente, che avviava il procedimento penale per ‘alterazione di stato’. Secondo i Giudici milanesi, però, “il fatto che l’atto di nascita non sia trascrivibile nei registri italiani non vuol dire che l’atto sia falso o provenga da illecito, ossia si può essere genitori in Ucraina, senza esserlo in Italia”.
L’assoluzione non è certo la prima, in casi simili. Già il Tribunale di Bologna, un anno fa, aveva stabilito che la richiesta di trascrizione nei registri dello stato civile di un comune italiano, di un bambino nato con maternità surrogata in Ucraina, non integrava alcun reato. Secondo il Tribunale Emiliano la Corte europea ha già stabilito che uno Stato nazionale non può non riconoscere un rapporto di parentela creato all’estero, anche se nato dal ricorso alla madre surrogata, perché “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” e non ci può essere “ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto”.
Il problema, quindi dovrà essere affrontato dal Parlamento, che si vede ora costretto ad intervenire in tale delicata materia.
Anche perché non si possono certo chiudere gli occhi di fronte al fenomeno del cosiddetto ‘turismo procreativo’: vietare la fecondazione eterologa, o la maternità surrogata, o la filiazione tra omosessuali, non impedisce certo alle coppie che desiderano un figlio di ottenerlo all’estero, con le stesse pratiche vietate in Italia.
Conseguenza ne è che come è stato per la fecondazione eterologa, anche per la maternità surrogata si dovranno riprendere in mano le norme che la regolamentano e riflettere sulle modifiche più opportune da adottare a tutela dei diritti dei minori nati con quelle pratiche ancora oggi vietate in Italia ma liberalizzate in tanti altri Stati vicini a noi.
Fonte: https://www.panorama.it/news/lessico-familiare/maternita-surrogata-legge/