Maternità surrogata: diritti e responsabilità negata
Lucio Romano, Senatore di Democrazia Solidale, scrive su questo blog l’articolo: “Maternità surrogata e dignità negata”, nel quale lancia una serie di invettive, a mio avviso confuse e sommarie, contro la maternità surrogata. A scatenarlo, è stato il caso, di cui molti di voi avranno letto, riguardante la nascita di Tiantian, avvenuta in Cina, quattro anni dopo la morte dei genitori. Questi ultimi, non riuscendo a avere figli, avevano iniziato il lungo percorso della fecondazione artificiale, interrotto purtroppo dalla morta di entrambi. I genitori della coppia, nonché nonni del piccolo, hanno deciso di portare a termine ciò che i figli avevano iniziato, affidando l’embrione al grembo di un’altra donna, che ha portato avanti la gravidanza in Laos, suo paese d’origine e dato alla luce Tiantian in Cina, paese in cui è arrivata con un visto turistico.
Il senatore Romano, si scaglia, in nome della bioetica, contro l’abuso del corpo delle donne e l’illiceità della maternità surrogata, sia nel caso in cui alla base vi sia un gesto d’amore incondizionato, in altre parole un dono, sia che, al contrario, vi sia una transazione economica. A sostegno delle sue tesi, il Senatore Romano segnala la “Mozione sulla maternità surrogata a titolo oneroso” adottata dal Comitato nazionale di bioetica (CNB) di cui egli stesso fa parte e che, per dovere d’informazione, conta 10 donne su 26 membri. Ma su questo si può momentaneamente sorvolare, poiché ciò che è necessario approfondire è, a mio avviso, il fondamento su cui si basa il diritto a essere genitori, riservato, secondo alcuni, a chi costituisce una coppia eterosessuale, fertile e unita dal matrimonio.
Questo presupposto, ha un carattere fastidioso e escludente, poiché rifiuta intenzionalmente la complessità della vita e dei rapporti affettivi, ignora volontariamente i mutamenti della società e con essi il progresso evolutivo e sociale dei rapporti tra genitori e figli che vengono così ridotti alla mera possibilità o impossibilità di procreare che la natura o Dio, dipende dai punti di vista, ci ha dato.
Spezzo una lancia a favore del Senatore Romano, precisando che anche a chi scrive, come a lui, sta a cuore impedire che il corpo della donna e la dignità della vita sia oggetto di mercificazione senza scrupoli. Ma a tale proposito, discordo sulle conclusioni che trae il Senatore Romano, poiché non tiene in dovuta considerazione due elementi per niente secondari in una riflessione sull’etica: il dovere dello stato di proteggere i diritti e il valore della responsabilità.
Come dimostra il caso di Tiantian e quello di moltissimi altri bambini, l’assenza di regole sulla maternità surrogata, crea molto spesso le condizioni perfette perché si realizzi la sopraffazione del più ricco sul più povero, la mercificazione del corpo della donna, della sua dignità e la compravendita della vita.
Ecco perché è necessario regolamentare la maternità surrogata. Non solo perché sia tecnicamente possibile, ma perché prima di tutto questa possibilità, offerta dalla scienza, non diventi il vantaggio esclusivo di chi ha i mezzi economici per beneficiarne. In questo quadro di totale deregolamentazione chi assicura il diritto alla salute della donna e del bambino? Nessuno.
Questo è lasciato alla discrezione delle persone coinvolte che possono assistere la donna partoriente, o possono anche non farlo e ripartire con il primo volo e un neonato tra le braccia. Credo invece, che sia responsabilità dello stato tutelare la salute della donna e quella del bambino che mette al mondo. Fondamento di questa protezione, non dovrebbero essere principi che richiamano lo stato di natura, superato da secoli di civilizzazione, ma proprio quelli enunciati dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea che il Senatore Romano stesso richiama.
Legalizzare e regolamentare la maternità surrogata è l’unico modo per impedire che donne, molto spesso poverissime e prive di tutele e diritti, siano comprate per la loro capacità riproduttiva e abbandonate dopo il parto, senza che sia loro riconosciuta assistenza sanitaria e qualsiasi tipo di diritto sul figlio che hanno messo al mondo.
Oltre a non considerare il diritto alla salute e alle cure mediche, la posizione di Romano, condivisa ahimè da una minoranza rumorosa del nostro paese, ignora ostinatamente il valore della responsabilità e dei legami affettivi alla base di un rapporto famigliare.
La posizione che Romano rivendica è basata su categorie statiche, idealizzate, che non trovano riscontro nella società contemporanea, come conferma il certificato di nascita trascritto a Torino che stabilisce la genitorialità di due donne. L’intransigenza di chi esclude la complessità dei rapporti, delle relazioni, dell’esperienze di vita, dell’affetto e dei desideri umani non può e non deve negare la molteplicità di relazioni e sentimenti umani che hanno in sé una dignità perché sono parte fondamentale dell’individuo. Se davvero sta a cuore la dignità e il corpo delle donne, perché allora non si rivendica l’importanza dei diritti della madre che porta a termine la gravidanza -gli unici capaci di garantire non solo la sua salute, ma anche la relazione futura con il bambino?
É giusto forse dire che desiderare un figlio non sia un diritto, ma sicuramente è una responsabilità. Una responsabilità che deve essere messa al centro dei rapporti tra genitori e figli, qualsiasi sia il metodo di concepimento, e che deve essere estesa a chi ha un legame naturale e affettivo con il bambino. È la responsabilità e la continuità delle relazioni affettive che rendono sana la vita di un figlio e non il sangue.
A tale proposito è sempre rimasto oscuro il motivo per cui, i sostenitori della famiglia tradizionale (concetto anch’esso oscuro!) non si siano mai preoccupati del benessere dei bambini, pur rivendicandolo a gran voce e si siano invece solo preoccupati delle tecniche riproduttive. Come se la felicità e la stabilità di un minore fossero determinate dal fatto che sia stato concepito naturalmente. Tutto questo suona fastidiosamente strumentale, perché a farne le spese sono proprio loro, i bambini che nel nostro paese non ricevono tutele adeguate se nati e voluti al di fuori di una cornice stretta e di fatto superata.
Nelle sue argomentazioni non ravviso, purtroppo, alcuna traccia di responsabilità né di diritti della donna e del minore, ma piuttosto una concezione patriarcale, in gran parte abbattuta dall’evoluzione del diritto di famiglia avvenuta nel nostro paese e in Europa, grazie alle battaglie per i diritti civili che hanno sollevato la consapevolezza etica dei cittadini e dovrebbero continuare a farlo, con ancor maggior forza.