Infertilità maschile: anche l’inquinamento ha le sue responsabilità
L’anno scorso c’è stato finanche chi è arrivato a mettere in dubbio la continuità della specie. Ma a voler essere più cauti, il calo della fertilità maschile rimane comunque un argomento di discussione in tutti i consessi scientifici. Perché l’uomo oggi ha una capacità riproduttiva inferiore – che non c’entra con l’instabilità economica e sociale – rispetto al passato? Le cause sono diverse: dalla dieta squilibrata alla sedentarietà, senza trascurare il fumo. C’è però un aspetto con cui gli andrologi e gli epidemiologi fanno i conti da tempo: l’inquinamento atmosferico.
Nelle aree in cui si rilevano concentrazioni elevate di pesticidi, perfluorati, metalli pesanti, diossine e ftalati – sostanze che agiscono come interferenti endocrini: mimano cioè l’effetto degli estrogeni senza alterare la loro concentrazione nel sangue – i tassi di fertilità sono più bassi. Una differenza che si registra anche nel nostro Paese.
Studio a Taranto e nella Terra dei Fuochi
L’ipotesi – avanzata a più riprese: l’ultima volta durante il congresso americano di endocrinologia, grazie a uno studio presentato dagli italiani Carlo Foresta e Alberto Ferlin – trova conferma in uno studio pubblicato sulla rivista «Environmental Toxicology and Pharmacology» dai coordinatori di «Ecofoodfertility», un progetto di ricerca internazionale che vuole indagare gli effetti dell’inquinamento sulla capacità riproduttiva.
Avviato già da tre anni nell’area della Terra dei Fuochi, «Ecofoodfertility» ha nel tempo coinvolto anche gli uomini di Gela, Piombino, Monselice, Brescia e Taranto. Tutte aree ad alta densità industriale, dove gli effetti negativi sulla salute si rilevano anche a livello dell’apparato riproduttore. Esaminando esclusivamente il liquido seminale, i ricercatori coordinati da Luigi Montano, responsabile dell’ambulatorio di andrologia dell’ospedale di Oliveto Citra (Salerno), hanno rivelando dati inequivocabili sulla vitalità e fertilità del seme maschile di chi vive in aree inquinate come Taranto o la Terra dei Fuochi (a cavallo tra le province di Napoli e Caserta), se comparati con quelli di chi abita in zone della stessa regione non considerate a rischio.
I composti sotto la lente di ingrandimento
L’evidente differenza tra i due campioni esaminati ha dimostrato che, sia i lavoratori delle acciaierie sia i pazienti che vivono in un’area altamente inquinata, mostrano una percentuale media di frammentazione del Dna dello sperma superiore al trenta per cento, evidenziando un chiaro danno spermatico. «La valutazione del Dna dello sperma può essere sia un indicatore della salute individuale e della capacità riproduttiva sia un dato adeguato per connettere l’ambiente circostante ai suoi effetti», hanno messo nero su bianco.
«Gli iperfluorati, usati in una varietà di prodotti di consumo, gli ftalati, impiegati nei giocattoli per bambini, i parabeni, usati soprattutto nei profumi e nei saponi, e il bisfenolo A, utilizzato per la produzione di plastiche quotidiana sono solo alcuni esempi dei moltissimi agenti e sostanze inquinanti che ogni giorno impattano sulla nostra vita – dichiara la ginecologa Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma -. Senza dimenticare poi le diossine sviluppate dagli incendi di materiale plastico e dai rifiuti di ogni genere abbandonati nell’ambiente e nelle nostre città. L’esposizione a queste sostanze nel corso della gravidanza può provocare mutazioni epigenetiche nel feto che si trasmettono da una generazione all’altra, in maniera irreversibile».
Infertilità maschile: come intervenire?
Quella maschile rappresenta il 40 per cento delle cause di infertilità, sebbene fino a quattro decenni addietro, di fronte a una coppia che non riusciva ad avere figli, si consideravano soltanto le potenziali problematiche femminili. Ciò nonostante, permane la scarsa conoscenza da parte dell’uomo degli aspetti che possono compromettere la sua fertilità (uso di droghe, malattie sessualmente trasmesse, varicocele).
E l’abolizione di quella visita di leva che fino all’inizio del secolo costituiva il «setaccio», ha contribuito a rendere più diffuso il problema dell’infertilità maschile. Eppure basterebbe poco per valutare la salute sessuale dell’uomo: giusto uno spermiogramma, esame diagnostico per nulla invasivo e poco costoso.
«L’ideale sarebbe poter avere uno screening tra i 18 e i 20 anni, supportato da campagne di comunicazione mirate», è il pensiero dell’endocrinologo Francesco Lombardo, associato di scienze tecniche, mediche e applicate all’Università Sapienza di Roma, intervenuto durante «We Art Merck»: evento organizzato a Padova per fare il punto sul passato, il presente e il futuro della fertilità.
«Oggi abbiamo diverse opportunità per curare l’infertilità maschile, anche se la terapia più utilizzata prevede la somministrazione dell’ormone follicolo stimolante – chiosa l’esperto -. Ma la risposta, in questo caso, non è sempre quella attesa e noi abbiamo indici che ci aiutino a predire la risposta del paziente al trattamento». Il futuro guarda alla personalizzazione dei trattamenti. «Se, come ci si augura, gli studi che stanno valutando l’espressione del recettore Fsh daranno i risultati attesi, si potrà modulare la somministrazione della terapia in base al genotipo». E tornare, così, a far felici uomini e donne desiderosi di allargare la famiglia.
Fonte http://www.lastampa.it/2018/10/18/scienza/infertilit-maschile-anche-linquinamento-ha-le-sue-responsabilit-ltBOIkUac1dmKUMDLNeotI/pagina.html