Dono del grembo e affitto d’utero

La maternità surrogata è stata proposta come mezzo per aiutare le donne incapaci di avere un figlio con le proprie forze, e la prima citazione la si può trovare nella Bibbia (Genesi 16,1-15 17,15-19 21,1-4). L’incapacità di procreare non è stata, però, l’unico motivo.

La nascita del Mahavira, il fondatore del jainismo, fu complicata da un trasferimento embrionale eseguito, da un dio provvidenziale, dalla madre genetica, Devananda (una donna di umili natali) alla madre “portatrice”, che lo avrebbe poi partorito, la regina Trisala. È ovvio che, miracoli a parte, prima dell’introduzione dell’inseminazione artificiale, la tecnica era quella naturale, quella per intenderci usata da Abramo.

Con la possibilità di utilizzare l’inseminazione divenne socialmente più accettabile affidarsi ad essa, anche se sono a conoscenza della persistenza dei metodi naturali (che naturalmente non tenevano conto del problema genetico) anche in tempi relativamente recenti. Ancora più recentemente, con l’avvento della fertilizzazione in vitro, è divenuto possibile trasferire alle madri surrogate embrioni creati con i gameti della coppia committente, evitando così qualsiasi contributo genetico da parte della madre surrogata.

Il primo riferimento bibliografico a questo tipo di maternità è stato pubblicato nel New England Med. J. da Utian e coll. nel 1985: fu un evento che destò molte meraviglie perché i medici erano convinti che nessuna donna avrebbe tollerato un incontro biologico  con tessuti embrionali che le erano totalmente estranei.

Ancora oggi si tende a fare confusione con i termini che definiscono le varie madri surrogate, e lo stesso termine “surrogata” è stato attribuito sia all’una che all’altra protagonista. “Gestational surrogacy” “full surrogacy” e “IVF surrogacy” sono comunque definiti come i gameti di una “genetic couple” “commissioning couple” o “intended parents” in un “surrogacy arrangement” che vengono usati per produrre embrioni: questi embrioni sono successivamente trasferiti a una donna che accetta di agire come ospite. Essa non è in alcun rapporto genetico con i bambini che possono nascere da questo accordo.

Quando invece si parla di “natural surrogacy” o “partial surrogacy” la donna che si propone come ospite viene inseminata con il seme del marito della coppia genetica; è evidente che in questo caso esiste una relazione genetica tra l’ospite e il bambino, perché si tratta di prestito d’utero e di dono di oocita. Esistono due modalità di organizzare una maternità surrogata: in una, si stabilisce un rapporto contrattuale tra le parti ed è evidente che in questi casi la coppia genetica deve pagare un prezzo. Questa maternità surrogata contrattuale è possibile negli Stati Uniti, dove esistono organizzazioni molto efficienti.

La seconda modalità è quella oblativa, basata quindi su un atto di generosità, costruito generalmente sulle fondamenta di una parentela o di una solida amicizia. Questa maternità surrogata (generalmente indicata come “dono del grembo)  è accettata in Inghilterra, anche se il suo percorso verso l’accettazione è stato molto tormentato. The Warnock committee in effetti, nel 1984, ne raccomandava la proibizione e solo l’intervento della British Medical Association riuscì a modificare l’atteggiamento del Governo inglese.

Nel 1985 la BMA ne accettò il principio generale ma solo “in selected cases with careful controls” e due anni più tardi la stessa associazione chiarì che, in ogni caso, i medici “should not partecipate in any surrogacy arrangements” e che comunque si trattava di una “last resort option”.

Nel 1990 The Human Fertilisation and Embriology Act fu approvato  dal Parlamento inglese: nel documento non c’è proibizione nei confronti della maternità surrogata. L’ultimo Report della BMA di cui sono a conoscenza e che è del 1996 afferma che “surrogacy is an acceptable option of last resort in cases where it is impossible or highly undesirable for medical reasons for the intended mother to carry a child herself”.

Le indicazioni principali per ricorrere ad una maternità surrogata sono:
– dopo una isterectomia;
– per assenza congenita dell’utero;
– a seguito di ripetuti fallimenti FIVET;
– in casi d’aborto ricorrente;
– se esistono condizioni di salute incompatibili con una gravidanza.

Si dice – ma non esistono prove reali che si tratti di affermazioni basate sulla verità – che la maternità surrogata basata sul contratto sia stata e sia eseguita anche per motivazioni meno accettabili, come la paura di imbruttire con la gravidanza o il desiderio di non abbandonare il lavoro. Si dice – ma ancora una volta senza prove reali – che le associazioni americane basate sul profitto non guardino molto per il sottile e abbiano accettato e accettino impegni relativi a coppie che avrebbero benissimo potuto avere figli senza ricorrere a questa tecnica.

Nei casi di “partial surrogacy”, nei quali viene anche offerta una ovodonazione, si propone un importante problema etico, che è quello relativo all’età della donna che riceverà il bambino, essendo noto che molte di queste richieste arrivano da donne in menopausa e che solo una parte di queste menopause è prematura.

Mentre sappiamo molte cose sul counselling che viene eseguito sistematicamente in Inghilterra, vuoi nei genitori genetici che nella madre surrogata, sappiamo pochissimo su come questo importante problema viene affrontato in questi casi nei quali si stipula un contratto. La mia esperienza personale, a questo riguardo, è molto limitata.

La terapia cui deve essere sottoposta la madre genetica non differisce da quella che si usa per una qualsiasi fertilizzazione in vitro. Gli embrioni vengono in genere congelati per il periodo necessario per stabilire l’assenza di una positività all’AIDS, e la stessa cosa viene fatta per il seme del marito nel caso di una “partial surrogacy”.

Le madri surrogate vengono sottoposte ad un protocollo di indagini molto complesso che deve stabilire non solo l’assenza di malattie che possono danneggiare il bambino, ma anche di malattie che possono controindicare la gravidanza. Il trasferimento dell’embrione si esegue sia in cicli naturali che in cicli artificiali.

Ci sono stati – e sono stati molto propagandati – problemi legali, nelle maternità surrogate, problemi che sono nati soprattutto al momento di consegnare il bambino. Su questi problemi esiste un’ampia letteratura, che sembra dimostrare come nella maggior parte dei casi la colpa debba essere attribuita a un counseling inadeguato o addirittura non eseguito. La maggior parte dei guai nasce comunque nei casi di “partial surrogacy”, e deriva dal desiderio della madre di tenere per sé il figlio.

Una causa frequente di problemi è la nascita di un bambino malconformato. Un ulteriore problema può derivare dal fatto che, al di fuori dei contratti, nei quali i pagamenti sono resi espliciti senza possibilità di discussione, possono nascere discussioni sul significato di “reasonable expenses”, che è quanto la coppia genetica dovrebbe pagare all’ospite nei casi di maternità surrogata “oblativa”, visto che l’altruismo assoluto sembra più spesso un bel sogno che un fatto concreto. È comunque vero che le maternità surrogate hanno fatto lavorare i tribunali, anche se non tanto spesso come qualcuno vorrebbe.

La maternità surrogata è comunque vietata in molti Paesi, senza distinzione tra contratto e oblazione. La maternità surrogata “totale” è ammessa in una ventina di Paesi (Canada, Grecia, Hong Kong, Ungheria, Israele, Olanda, Nuova Zelanda, Russia, Inghilterra, Australia, Brasile, India, Sud Africa, Tailandia, Stati Uniti, Columbia, Ecuador, Finlandia, Perù, Romania) con regolamenti spesso molto diversi. In Argentina, ad esempio, un paese in genere citato tra quanti non ammettono questa pratica, esiste la possibilità di ottenere un permesso speciale da una Commissione che giudica caso per caso.

L’Australia, dal canto suo, ha norme lievemente diverse nei differenti Stati, l’Australia dell’Ovest ammette la surrogazione solo per uso compassionevole; l’Australia del Sud ha una legge analoga, ma la possibilità di ricorrere alla surrogazione oblativa deriva indirettamente dalla condanna specifica di quella commerciale; lo Stato di Vittoria consente la surrogazione per ragioni altruistiche e condanna ogni tipo di remunerazione. Anche il Brasile ha norme analoghe che proibiscono i Centri di PMA di essere coinvolti in queste tecniche se esistono accordi finanziari tra le parti.

In Grecia la surrogazione (ammessa solo per le coppie residenti nel Paese) necessita di una autorizzazione giudiziaria rilasciata prima del trasferimento, se esiste un accordo scritto  e senza compenso tra le parti. In Israele la coppia richiedente deve essere sposata e la donna surrogata nubile; è necessaria una autorizzazione da parte di una speciale commissione del Ministero della Salute.

La situazione degli Stati Uniti è invece assolutamente variegata, ogni Stato ha norme diverse. Sono particolarmente ostili, nei confronti della surrogazione, la religione cattolica e l’islamica, anche se poi bisogna accettare il fatto che molti moralisti laici accettano di malagrazia l’atto oblativo, ma condannano quello contrattuale, generalmente parificato a una forma di prostituzione e che in realtà è responsabile di uno sfruttamento vergognoso delle donne di molti Paesi che accettano solo perché non hanno altre scelte, o fare da madre al figlio di un’altra donna o prostituirsi.

C’è però chi ritiene che nessuno è in diritto di proibire ad un essere umano di fare quel che vuole del proprio corpo, senza prima essersi fatto una serie di domande: perché lo fa? Cosa faccio io per rimuovere le condizioni sociali che lo costringono a fare questa scelta? Cosa farà questa persona se io le impedirò di trarre profitto dalla vendita del proprio corpo o di parte di esso? Posso accettare, sul piano teorico alcune di queste argomentazioni: non posso accettare che ne consegua il brutale sfruttamento delle donne dei paesi più poveri, un crimine che ha causato danni concreti, visto che alcune di queste donne ci hanno rimesso la vita, soprattutto quando veniva anche stimolata la loro ovulazione.

Si tenga conto, ad esempio del fatto che in questo momento sono in corso gravidanze in donne che si sono sottoposte al trapianto di utero, un intervento di durata media di circa nove ore, certamente non privo di rischi e che viene eseguito nella maggior parte dei casi prelevando l’organo da un vivente (in genere un parente) e che si propone come alternativa – non so quanto accettabile – alla surrogazione.

 

Fonte http://temi.repubblica.it/micromega-online/dono-del-grembo-e-affitto-dutero/