Eterologa, tutto fermo. Centinaia in lista d’attesa

 

Al Sacco è stata creata una lista d’attesa ufficiale. E ad aspettare una telefonata, nella speranza di riuscire ad avere un giorno un figlio, ci sono già oltre cento coppie. In tutta la Lombardia se ne contano circa 6mila con problemi di sterilità che non vogliono andare all’estero per poter concepire un bambino.

Ma negli ospedali pubblici, a un anno e mezzo dalla sentenza della Consulta, l’eterologa ancora non parte. E le poche strutture che si sono mosse per avviare le procedure già si scontrano con la mancanza di donatori ma soprattutto di donatrici, difficilissime da reperire senza un rimborso spese.

Ed ecco partire l’operazione Egg sharing e le campagne di sensibilizzazione rivolte alle donne. «Il problema degli ovociti in Italia è enorme — spiega Valeria Savasi, re sponsabile del centro di riproduzione assistita del Sacco — l’unica speranza in questo momento è chiedere aiuto al le donne che già si sottopongono alla fecondazione omologa».

Il meccanismo, in sé, sembra semplice: fra gli ostacoli più grandi che rendono complicate le donazioni di gameti sul fronte femminile, c’è lo stress a cui è sottoposto il corpo di una donna. E tutti i timori che ne conseguono. Il ciclo di bombardamento ormonale, ma anche l’operazione per il prelievo degli ovuli, non sono una passeggiata. Per aggirare il problema, una delle soluzioni, già praticata all’estero, sta quindi nel chiedere a chi già affronta le procedure per il concepimento in provetta (ma non ha bisogno di donatori esterni) di devolvere gli ovociti in più, prodotti grazie alla stimolazione ormonale, alla causa dell’eterologa.

«Non è però così scontato che le donne accettino— spiega Paolo Levi Setti, responsabile del Fertility center dell’Humanitas, uno dei più grandi d’Italia — In questo momento le tecniche di procreazione assistita hanno più successo dal congelamento, non dal ‘fresco ». Le coppie, quindi, potrebbero essere restie a regalare ovociti perché questi potrebbero servire in un secondo momento se una o più gravidanze non dovessero andare a buon fine. «E in ogni caso, non coprirebbe più del 5-10 per cento delle richieste».

Alla Mangiagalli i medici del centro che si occupa di procreazione assistita stanno elaborando un protocollo ad hoc proprio per l’Egg sharing, e da questo autunno chiederanno alle pazienti che hanno già in cura per l’omologa se vogliono donare i loro ovociti a un’altra coppia in attesa per l’eterologa, con l’obiettivo di essere operativi entro fine anno.

Mentre al Sacco di donatrici non ne sono proprio arrivate, nonostante l’ospedale sia pronto ad accoglierle, nella stragrande maggioranza delle strutture non vengono ancora accettate. «Per il momento abbiamo dovuto dire no — spiega Edgardo Somigliana, a capo del centro della Mangiagalli — ancora non è chiaro il panel di visite ed esami a cui gli aspiranti donatori devono essere sottoposti». Di qui, anche in via della Commenda l’idea di ricorrere all’Egg sharing.

Un’altra opzione c’è: importarli dall’estero. Una procedura troppo costosa però, a cui invece sempre più spesso ricorrono le cliniche private dove in alcuni casi, come alla Matris, l’eterologa è già partita. «Non abbiamo ancora fatto una vera e propria lista d’attesa — aggiunge Somigliana—per noi è più utile considerare caso per caso: viste le difficoltà, vorremmo dare la precedenza a quelle coppie giovani in cui la sterilità è causata da una malattia o una chemioterapia».

Certo è che la situazione in Lombardia è ancora in stallo. Anche per colpa della scelta della Regione di non prevedere un rimborso. Contro questo si è già espresso il Consiglio di Stato e a fine settembre è in programma l’udienza al Tar. Che le coppie ancora in attesa siano tante lo dimostra anche l’elevato numero di persone che si sono rivolte alla Casa dei diritti del Comune per chiedere una consulenza in materia: oltre 170.

«Lo sportello — spiega Rossella Bartolucci, presidente di Sos Infertilità — è nato all’indomani della sentenza della Consulta: all’epoca pensavamo che nel giro di poco la situazione si sarebbe sbloccata. Purtroppo non è così, e ancora oggi a chi è vicino al limite di età dobbiamo consigliare di andare all’estero»

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