In Italia pochi donatori e costi alti, fecondazione eterologa difficile anche dopo il sì della Consulta
Pochi donatori e centri pubblici al palo. Questi gli elementi usciti dal primo convegno nazionale sulla protezione della fertilità organizzato a Roma dal segretario nazionale dell’Aipf, professor Antonio Colicchia. Pochi ovociti, pochi gameti, e soprattutto come ha accennato in apertura di lavori proprio Colicchia, un quadro assai complicato di relazioni e interventi tra Regioni e apparati sanitari pubblici. E’ in questo contesto che faticano a farsi largo le disposizioni maturate dopo la sentenza della Corte Costituzionale numero 162 del 2014 che di fatto ha sancito che il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale.
Ma da sole le norme non bastano, e come ha spiegato il professor Moscarini oltre le norme deve esserci la volontà: la volontà di rendere veloci, tracciabili, e certe, le prestazioni sanitarie per tutti i cittadini. Invece, nel nostro Paese, stando almeno ai dati censiti nel corso dello scorso anno, solo 9 regioni sono in linea o si avvicinano ai criteri impartiti dal ministero della sanità, mentre è soprattutto il settore privato a fare ancora la differenza sul pubblico. I numeri del pubblico, infatti, viene sottolineato durante al tavola rotonda (alla quale hanno preso parte i responsabili delle Regioni) restano irrisori rispetto alla domanda (Le aziende pubbliche, infatti, sono pressoché tagliate fuori dall’importazione ovocitaria all’estero). E questo, di fatto, «rende sostanzialmente inapplicata la sentenza della Consulta» diversamente a quello che accade nei centri privati che per rispondere alla quasi totale assenza di donatrici chiedono a centri esteri di fornire il servizio di approvvigionamento ovocitario con costi importanti, naturalmente, a carico delle pazienti.
Da qui, allarme: un allarme per chiedere alle istituzioni pubbliche non solo di rendere più competitivo il pubblico con il privato ma di unificare, su base regionali, le grandi differenza in tema di eterologa tra Enti. Tant’è che se in Emilia il servizio è pressoché gratuito in altre Regioni si applicano ticket fino a mille 500 euro (nel privato mediamente il costo è di 7mila euro). «E’ naturale, però – osserva Giulia Scaravelli Istituto superiore di sanità – che quando si cambiano leggi non si possa ipotizzare che la bacchetta magica renda tutto più immediato e efficiente, ma sono comunque ottimista e che ben presto arriveranno anche i primi donatori. Per questo sarà necessario informare meglio e di più la popolazione che non è sufficientemente informata e attivare una serie di campagne di sensibilizzazione che allo stato attuale sono completamenti assenti». Insomma, il tempo ci dirà se a breve l’Italia sarà al passo con gli altri paesi europei. Per ora la distanza resta abissale. E nelle maglie delle differenze a crescere sono solo i centri privati pronti e efficienti a rispondere alle richieste delle coppie che desidera avere dei figli.
Ma se l’eterologa fatica a svilupparsi le cose non vanno meglio nemmeno sul fronte della conservazione ovocitaria. In Italia, infatti, circa 47mila donne ogni anno ricevono una diagnosi di carcinoma alla mammella e di queste il 45 per cento ha meno di 39 anni. Ora, l’età media delle donne che desiderano avere una gravidanza, negli ultimi 20 anni, è arrivata a 34 anni. Questi dati dimostrano, dunque, che più che mai è indispensabile pensare alla fertilità di questo gruppo di donne che insieme a quella che sono colpite da una patologia tumorale in età riproduttiva hanno necessità di conservare la loro fertilità per gli anni successivi.
«Purtroppo in Italia – spiegano i relatori al convegno organizzato dall’Aipf, tra questi anche il dottor Palermo – esistono solo due banche dati di ovociti (Bologna e Milano) assolutamente insufficienti a far fronte alle necessità. E ancora di più, sono troppo pochi gli oncologi che discutono di queste possibilità con le loro pazienti». Per questa ragione, un altro sforzo da compiere, infatti, è quello di sensibilizzare oncologi e ginecologi a vincere le resistenze e offrire questa metodica a tutte le pazienti, essendo stato dimostrato che la gravidanza non modifica affatto la prognosi della malattia in quanto a speranza di vita.
Fonte http://www.lastampa.it/2015/11/21/italia/cronache/in-italia-pochi-donatori-e-costi-alti-fecondazione-eterologa-difficile-anche-dopo-il-s-della-consulta-z8KCaHyw0liCW9XQHeByuJ/pagina.html