Maternità surrogata, la Cedu condanna l’Italia per aver violato i diritti di una bambina nata nel 2019

La Corte europea dei diritti umani ha giudicato l’Italia colpevole di aver violato il diritto alla vita familiare e privata della bambina, di cui non svela le generalità

L’Italia ha violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo per non aver riconosciuto legalmente il rapporto di filiazione tra il padre biologico ed una bambina nata nel 2019 in Ucraina con la maternità surrogata. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani.

Che cosa ha deciso la Corte europea

Ecco i dettagli della vicenda. Lo Stato italiano ha violato i diritti di una bambina, nata nel 2019 in Ucraina con il ricorso alla maternità surrogata, impedendo il riconoscimento legale del rapporto di filiazione con il padre biologico, e facendo di lei un apolide. Per questo, la Corte europea dei diritti umani ha giudicato l’Italia colpevole di aver violato il diritto alla vita familiare e privata della bambina di cui non svela le generalità.

La Corte ha inoltre stabilito che le autorità italiane dovranno versare alla bimba 15mila euro per danni morali e 9.536 per le spese legali sostenute dal padre biologico e la madre intenzionale.

Il ricorso a Strasburgo avviato nel 2021

A portare il caso alla Corte di Strasburgo nel settembre del 2021 sono stati il padre biologico e la madre intenzionale della bambina, entrambi cittadini italiani, e di cui nella sentenza non vengono indicate le generalità.

Nel ricorso si specifica che «il rifiuto delle autorità nazionali di riconoscere il padre biologico e la madre intenzionale come suoi genitori, da un lato, e il fatto che non avesse la cittadinanza, dall’altro, la ponevano in uno stato di grande incertezza giuridica».

Bambina senza documenti né tessera sanitaria

La piccola, afferma l’avvocato della coppia, Giorgio Muccio, non ha documenti d’identità, né tessera sanitaria, né accesso alla sanità e istruzione pubblica.

Nella sentenza la Corte di Strasburgo riconosce che la piccola, che ha 4 anni, «è stata tenuta fin dalla nascita in uno stato di prolungata incertezza sulla sua identità personale», e conclude che «i tribunali italiani hanno fallito nell’adempiere all’obbligo di prendere una decisione rapida per stabilire il rapporto giuridico della bimba con il padre biologico».