Maternità surrogata e Sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser

n queste settimane ad alimentare i dibattiti (spesso dai toni intolleranti e discriminatori) è il ddl Cirinnà, in discussione in Parlamento. Tra gli aspetti più controversi – sebbene, paradossalmente il disegno di legge non affronti nemmeno la questione – quello che più divide le coscienze riguarda la maternità surrogata (volgarmente definita “utero in affitto”) che prevede, per chi non può portare avanti una gravidanza, di avere figli geneticamente propri attraverso un’altra donna.

E qui, il dibattito si fa incandescente, perché tra coloro che osteggiano il ddl Cirinnà ci sono soprattutto persone che non vogliono permettere alle coppie omosessuali – una volta che il ddl Cirinnà dovesse passare, stepchild adoption compresa – di ricorrere a questa pratica all’estero per avere figli propri e riconoscerli attraverso quello che viene definito un escamotage.

I toni utilizzati per difendere una posizione piuttosto che l’altra, talvolta, sono di un imbarazzo disarmante. Perché, mentre ci adoperiamo a portare avanti il nostro punto di vista, non ci accorgiamo che le parole che usiamo possono ferire. E infatti quanto detto finora  ha ferito profondamente donne che vedono nella maternità surrogata l’unica possibilità per diventare madri. E che esulano dalla fin troppo banale distinzione  tra “eterosessuale” e “omosessuale”. Ma sono donne nate con una malformazione genetica che comporta l’assenza (totale o parziale) della vagina e dell’utero.

Una di loro, Maria Laura Catalogna, presidente della prima associazione nazionale di donne affette dalla sindrome di MRKH, ha scritto a L’Ultima Ribattuta per far presente che, quando non si dà a qualcuno la possibilità di diventare madre, bisognerebbe avere il coraggio di farlo guardandolo negli occhi. Perché quando si negano dei diritti, fin troppo spesso non si pensa che dietro ci sono delle persone vere.

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Caro Direttore,

«È ormai da tempo che si parla di unioni civili, adozioni, uteri in affitto e quant’altro. Ne leggo sui giornali, ne ascolto alla tv e alla radio. Finora sono stata zitta e non ho mai espresso quello che penso, ma ieri sera ho risposto ad una “sorella” sul nostro gruppo di Facebook. Nelle sue parole, e in quelle delle altre “sorelle”, ho trovato tutto quello che mi passa per la mente quando sento parlare di questi argomenti.

Noi siamo il gruppo delle Roki. Abbiamo una malformazione “invisibile” che si chiama Sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser. Noi la chiamiamo Roki, è più semplice pronunciarla ma quanto è difficile accettarla. Scriviamo questa lettera proprio per farla conoscere.

Cercherò di spiegare in maniera semplice in cosa consiste: la sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser (MRKH) è una condizione congenita caratterizzata dalla mancata formazione (totale o parziale), della vagina e dell’utero. Questa può essere isolata oppure associata ad altri difetti a livello renale, vertebrale, cardiaco.

Poiché i genitali esterni e le ovaie sono presenti (anche se queste ultime possono essere dislocate in sedi anomale), e dunque sono presenti anche i caratteri sessuali secondari, la sindrome viene in genere scoperta solo durante l’adolescenza, intorno ai 14-16 anni, per la mancata comparsa delle mestruazioni.

Alla diagnosi si arriva dopo aver escluso altre sindromi cromosomiche (il cariotipo delle pazienti con MRKH è perfettamente normale, 46XX) e aver confermato l’assenza di vagina e utero con eco, risonanza magnetica nucleare. Oltre all’amenorrea primaria, mancanza di mestruazioni, la sindrome comporta impossibilità ad avere rapporti sessuali e infertilità completa, dovuta alla mancanza di utero.

Al momento le cause della malattia non sono note. Quello che si sa è che, durante la vita embrionale lo sviluppo dell’apparato riproduttivo ha inizio, ma si arresta prima del completamento.

L’unico intervento possibile, al momento, è la ricostruzione del canale vaginale per permettere una vita sessuale normale. Non sto ad elencare come vengono effettuati i vari interventi. Perderei la sua attenzione. Ma vorrei sottolinearle altri aspetti. La sindrome si accompagna, oltre che a sofferenze fisiche, ad una grande sofferenza psicologica per le ragazze colpite e per le loro famiglie.

Le ragazze si sentono “diverse, incomplete, inferiori…”, perché non hanno le mestruazioni come tutte le loro amiche e compagne di scuola; inoltre quando scoprono di non poter avere rapporti sessuali hanno in genere una forte crisi di identità e di autostima. Per di più le ricordo che Non possiamo procreare.

Perché scriviamo questa lettera? Perché è tempo che se ne parli.

È difficile accettare che si parli di adozione e utero in affitto come fanno i media e i politici senza pensare che c’è qualcuno che li ascolta e che sta male per le loro parole discriminatorie.

È tempo che si parli della possibilità per noi di scegliere il percorso della maternità surrogata, che ci permetterebbe di diventare madri di bambini geneticamente nostri. È tempo che si parli della possibilità per noi di poter adottare bambini senza lunghe liste di attesa.

È tempo che si parli della possibilità per noi di essere riconosciute come malattia rara. Siamo una minoranza e come tale discriminata come molte altre. Ci sentiamo diverse più che mai e non credo sia giusto. Con questa lettera vorremmo solo far saper all’Italia che noi esistiamo, viviamo e combattiamo ogni giorno e speriamo in un futuro dove poter vedere i nostri figli giocare nel prato».

Maria Laura Catalogna, presidente della prima associazione nazionale di donne affette dalla sindrome di MRKH

Fonte: http://www.lultimaribattuta.it/42596_maternita-surrogata-mayer-rokitansky-kuster-hauser