«Non negateci il diritto di diventare madri»
Forse Tobia Antonio non lo saprà mai, ma la sua nascita ha riattizzato il dibattito sulla . Il piccolo, figlio del leader di Sel Nichi Vendola e del suo compagno italo-canadese Ed Testa (il padre biologico), è nato qualche giorno fa da una donna californiana di origine indonesiana. Ma il lieto evento è stato definito, su Twitter, un atto di «disgustoso egoismo» dal leader leghista Salvini. Ed è rimbalzato al centro di una aspra polemica sui social, dove si parla di «uteri in affitto», «bambini comprati», «fabbriche di bambini».
Ma i toni con cui si discute della maternità surrogata hanno ferito un gruppo di donne, quelle per cui la «gestazione per altri» potrebbe essere l’unica possibilità, oltre all’adozione, per diventare madri. Sono quelle affette dalla Sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser, una condizione rara, che loro chiamano «Roki». Maria Laura Catalogna, trentunenne di Teramo che ha fondato l’associazione nazionale delle donne nate con la sindrome, non ci sta.
«La nostra è una condizione congenita caratterizzata dallamancata formazione (totale o parziale), della vagina e dell’utero – spiega – che può essere associata a altri difetti renali, vertebrali, cardiaci. Non vengono le mestruazioni, non si possono avere rapporti sessuali, a meno di ricorrere alla ricostruzione del canale vaginale, e la mancanza di utero provoca infertilità». A queste donne «deve essere offerta una possibilità. Io, personalmente, ricorrerei all’adozione, perché non sono così favorevole alla maternità surrogata, ma ritengo che ognuna di noi debba poter scegliere che cosa sia meglio per lei».
Maria Laura ha scoperto di essere affetta dalla sindrome di «Roki» a 10 anni, perché era ancora incontinente e non riusciva a trattenere la pipì. Il pediatra l’ha indirizzata da un medico di Bologna, che ha capito che era la sindrome a causare questo problema, perché il collo della vescica era largo e corto. Maria Laura ha saputo anche che il suo utero era mal formato e non collegato con vagina. Poi è cominciata la serie interminabile di interventi: sono stati asportati utero e tube ed è stata ricostruita la vagina. Ed è stata necessaria un’operazione al cuore.
Le donne con questa sindrome devono sottoporsi a frequenti controlli, e devono pagarseli tutti: il codice di esenzione vale solo in Piemonte e in Valle d’Aosta. «Inoltre, spesso il personale sanitario non conosce questa sindrome e ogni volta dobbiamo spiegare da capo di che cosa si tratta».
Agli aspetti pratici si somma il carico emotivo: «Sì, ci sentiamo diverse. Alcune sono imbarazzate, non riescono a parlarne. E quando conosciamo un ragazzo non sappiamo se e quando è ora di spiegargli della sindrome. Quando finisce la storia, poi, ci chiediamo sempre quanto ha inciso la consapevolezza della nostra condizione, quella di non poter avere figli».
«Ed è odioso sentire parlare di maternità surrogata così come si sta facendo in questi giorni. E’ un tema che riguarda non solo le coppie omosessuali, ma anche altre persone. E non può essere liquidata come una questione egoistica».
Secondo Maria Laura, volere un figlio, anche quando non arriva facilmente e quando la natura non basta, è un diritto: «Ogni coppia fertile lo può decidere: arriva un giorno in cui decide di volere un figlio e inizia a cercarlo. Perché noi non dovremmo farlo?».