Nuovi diritti riproduttivi: la maternità surrogata. Intervista alla Biologa e Specialista in Genetica Medica Dott.ssa Marina Baldi
A seguito del continuo dispiegarsi di fenditure nella L.40/2004, a opera della Consulta, siamo giunti con la sentenza n. 162/2014 all’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sul divieto alla fecondazione eterologa.
La ratio della legge, che proibiva la forma di PMA con donazione di gameti esterni alla coppia, mirava a tutelare lo status filiationis del nascituro, la sua identità genetica e voleva evitare l’insorgere di relazioni parentali atipiche.
La Corte sgretola e demolisce questo ragionamento, ritenuto in contrasto con i principi già recepiti dal nostro Ordinamento, che già ammette la discrasia tra la genitorialità genetica e quella “sociale” nell’istituto dell’adozione.
Un nuovo fenomeno si staglia però all’orizzonte: si tratta della maternità surrogata, istituto giuridico già accolto e pienamente regolamentato in vari Paesi Europei. Questa nuova figura contrattuale può essere sia a titolo oneroso che gratuito, e prevede l’impegno da parte di una donna di essere fecondata tramite inseminazione artificiale con il seme del padre biologico (c.d. surrogazione tradizionale) o di gestire nel proprio utero un embrione formato con il seme del padre ricevente (o di un donatore, se il padre ricevente è sterile) e con gli ovociti della madre ricevente (o di una donatrice, se la madre ricevente è sterile) (c.d. surrogazione gestazionale) e di partorire un bambino, che assumerà lo status di figlio legittimo della coppia committente e verso cui la madre surrogata non può vantare alcun diritto.
L’istituto giuridico in esame, in Italia è vietato in quanto contrario ai principi di ordine pubblico e la L.40/2004 lo sanziona penalmente, tuttavia la Giurisprudenza mai si è pronunciata in senso di condanna verso le coppie che hanno adottato questa pratica.
Di sicuro però, come dimostra la recente sentenza della Cassazione in cui è stato dichiarato lo stato di adottabilità di un bambino, nato da una donna ucraina su commissione di una coppia italiana, la pratica non è vista di buon occhio, tanto da costare, lo scorso gennaio, una censura all’operato dell’Italia da parte della Corte Europea di Diritti dell’Uomo per non aver saputo bilanciare correttamente l’interesse superiore del minore con quello pubblico in un caso analogo.
Cerchiamo di approfondire meglio questa nuova realtà rivolgendo delle domande alla Dott.ssa Marina Baldi, Biologa, Specialista in Genetica Medica e Responsabile genetista dal 2010 del Laboratorio Genoma di Roma.
Dott.ssa Baldi, a seconda di chi nella coppia è affetto da infertilità e dell’eventuale apporto genetico della madre gestante, ci illustrerebbe quanti e quali sono i tipi di maternità surrogata che possono sorgere?
Il termine “maternità surrogata” viene utilizzato, nell’accezione comune, per indicare la procedura attraverso la quale una donna cede temporaneamente il proprio utero per portare a compimento una gravidanza nella quale l’embrione che si sviluppa sia stato concepito con gameti maschile e femminile, non provenienti da quella donna e dal suo partner.
Le possibilità, però, sono diverse, e vanno dal trasferimento nell’utero “in affitto” di un embrione concepito con i gameti di una coppia che per ragioni mediche non riesce ad iniziare e a portare a termine una gravidanza (ad esempio donne affette da sindromi nelle quali è assente l’utero dalla nascita per malformazioni congenite, come la sindrome di Rokitanski, ma nelle quali le ovaie sono presenti e funzionanti, oppure casi nei quali le donne per interventi chirurgici abbiano subito l’asportazione dell’utero, con o senza asportazione delle ovaie, che talvolta possono essere congelate per poter utilizzare ovociti della paziente (che in seguito all’intervento perde la fertilità). In questo caso la gravidanza surrogata darà origine ad un bambino che dal punto di vista genetico è della coppia richiedente a tutti gli effetti.
Diversa è la situazione nella quale si utilizzi solo il gamete maschile o femminile della coppia richiedente ed un gamete donato, maschile o femminile, che può anche essere della madre surrogata, e diversa ancora la situazione nella quale si utilizzino gameti entrambi estranei alla coppia e alla madre surrogata.
Posta l’illegalità di tale pratica in Italia, i problemi che possono sollevarsi sono quelli riguardanti coppie italiane che, recandosi in Paesi esteri in cui la pratica è lecita, tornano con un neonato la cui trascrizione dell’atto di nascita è demandata alla discrezionalità del Comune di residenza della coppia, anche in considerazione delle eventuali valutazioni effettuate dall’Ufficio di Stato Civile all’Estero. Si tratta molto spesso di pratiche farraginose forse evitabili mediante la mera legalizzazione di queste tipologie procreative, prendendo atto che ormai sono moltissimi gli Italiani protagonisti del c.d. “turismo o esilio procreativo”. Lei cosa ne pensa?
Di fatto legalizzare una situazione che è permessa in altri paesi e che talvolta viene utilizzata da persone appartenenti a Stati nei quali la “surrogacy” è proibita, non può che essere un fattore positivo. Non è però facile stabilire delle norme che siano ragionevoli e che comportino una regolamentazione di tale procedura. Credo tuttavia che, come è avvenuto per la legge 40 – a mio parere una pessima legge che di fatto è stata smantellata nel corso degli anni – solo il fatto che una legge esista possa consentire poi di “aggiustare il tiro”. Nella legge 40, ad esempio, ciò è avvenuto con riferimento alle modalità di controllo afferenti alle procedure di Procreazione Assistita. Ciò che rimane oggi della legge 40 è infatti una attenzione a requisiti e modalità di effettuazione che sono sotto un controllo che prima non esisteva.
Fu allora che cominciò il flusso del turismo procreativo, dato che una legge restrittiva e poco “tutelante” dal punto di vista medico, costrinse tante coppie a rivolgersi altrove per potersi sottoporre a diagnosi preimpianto e a procedure di stimolazione dell’ovulazione che tutelassero la salute della donna più di quanto facesse la legge del proprio paese.
In Italia, paese cattolico, la promulgazione della legge 40 e la successiva serie di modifiche, sono stati passi molto difficili e lunghi, ma ritengo che chi non reputi moralmente ed eticamente accettabile la Procreazione Assistita è libero di non servirsene. E’ però dovere di uno Stato Democratico tutelare chi, per ragioni proprie, decida invece di accedere a tali procedure. E lo stesso concetto può valere per la maternità surrogata, anche se questa modalità procreativa per la legge italiana sarebbe comunque in contrasto con il principio vigente che il figlio è della madre che lo partorisce. Non sarebbe un lavoro facile, quello di trovare una regolamentazione corretta…
Ma non dimentichiamo mai che la sterilità è una malattia, che è ingravescente con una velocità inimmaginabile, (ogni anno sempre più coppie non riescono a concepire figli in modo naturale, soprattutto per gli stili di vita e per la situazione di inquinamento dei paesi cosiddetti “civilizzati”) e che, essendo una malattia, DEVE essere consentita una cura.
Per non parlare dell’aspetto psicologico che affligge le coppie sterili o infertili, aspetto del problema non trascurabile in quanto determina un malessere così profondo e devastante che investe tutti gli aspetti della vita sociale e di coppia.
Il fatto di configurare un contratto di maternità contiene intrinsecamente dei rischi. L’esperienza ci parla di episodi in cui i c.d. Intending parents al momento della nascita, non “soddisfatti” in ordine al sesso, alla salute etc. del bambino, lo hanno rifiutato. In questi casi il nascituro si troverebbe davvero in uno stato di totale abbandono. Altri problemi sorgono dal fatto che il contratto potrebbe prevedere della clausole sullo stile di vita della gestante tali da garantire il buon percorso della gravidanza (ad es. non bere, smettere di fumare, dormire abbastanza, non affaticarsi) che però invadono la privacy e la libertà della madre surrogata. In caso di violazione di queste clausole, il contratto può dirsi nullo? Che ne sarà del bambino?
Questi sono aspetti che riguardano il legislatore che deve, con molta cura, stabilire regole e comportamenti da tenere in questi casi, che purtroppo sono rari ma non troppo. Per capire quanto sia importante questo aspetto, basta solo una informazione: il rischio genetico della specie umana è del 3%. Ciò vale a dire che il 3% dei bambini nasce con un problema genetico, che va dalla malformazione non evidenziabile con l’ecografia, alla sindrome genetica rara, o anche alla predisposizione ad ammalarsi di una malattia genetica ad esordio tardivo nel corso della vita (ad esempio l’Alzheimer). Al di sotto di questo rischio non si scende nemmeno facendo tutti i test oggi disponibili in diagnosi prenatale….
Contro l’accusa di “Baby-selling” che i detrattori della maternità surrogata avanzano, è stato argomentato che non può trattarsi di vendita di bambini in quanto la transazione avviene prima del concepimento e quindi vi è solo alienazione di materiale genetico appartenente al corpo dei donatori. Inoltre l’interesse della coppia investirebbe non il corpo della gestante (ciò sarebbe contrario ai principi dell’individualismo possessivo che il nostro Ordinamento abbraccia) ma solo l’embrione, dotato quindi di un’identità propria. In tal caso però, si entra in collisione con la teoria della legalizzazione dell’aborto, che presuppone invece la indivisibilità e dipendenza dell’embrione alla madre. Pensa che il quadro normativo del contratto tra privati si attagli bene al fenomeno o sarebbe meglio fornirgli uno specifico strumento ad hoc?
Anche questo argomento, davvero molto complesso, sarà compito del legislatore. Non si possono ignorare le leggi esistenti, quale la legge 194 sull’aborto volontario, ma è anche vero che una tutela al nascituro va comunque sancita per legge.
Alcuni medici sostengono che il patrimonio genetico di ciascuno, seppur in minima parte, si completi durante la gravidanza e non che si cristallizzi al momento della formazione dello zigote. Questo lascerebbe pensare che pur in assenza di donazione dell’ovocita la madre surrogata parteciperebbe in qualche misura al DNA del nascituro; è corretto?
Si è corretto. Vi è una branca della genetica, totalmente nuova, che si chiama Epigenetica, che studia proprio l’effetto dell’ambiente sullo sviluppo e crescita degli embrioni. Ciascun individuo è quello che è, diverso uno dall’altro nonostante il patrimonio genetico sia lo stesso al 99,9%, proprio per gli effetti epigenetici dell’ambiente, che consistono nell’attivazione o nel silenziamento di geni diversi presenti nel patrimonio genetico, variandone l’espressività ed alcune funzioni. Un feto, cresciuto nell’utero della donna X non sarà lo stesso feto se questo fosse cresciuto nell’utero della Donna Y. Gli scambi metabolici, l’attivazione ed il silenziamento dell’espressività dei geni, la variazione delle proteine prodotte in gravidanza non si possono ignorare.
Secono Lei, la legalizzazione di questa pratica in Italia, sarebbe un passo avanti nell’ottica dell’autodeterminazione femminile o configurerebbe l’ennesimo sfruttamento dei diritti primordiali delle donne?
Questa domanda, per avere una risposta approfondita, necessiterebbe di molto spazio e dovrebbe contemplare la disamina della storia dell’emancipazione femminile, dello sfruttamento che ancora oggi viene effettuato del corpo femminile e dei problemi sociali che investono paesi in cui la crisi economica porta alla scelta di poter cercare fonti alternative di guadagno. Chi accetta di fare la madre surrogata lo fa, nei paesi dove questa pratica è legale, per avere una fonte di reddito. Questo rende la procedura formalmente identica ad un qualsiasi contratto commerciale, anche se nella realtà ci sono così tanti risvolti etici e sociali che non è facile distinguere ciò che è giusto o sbagliato. Quindi a mio parere, come ho già detto prima, ci vorrebbe una legge per regolamentare l’accesso di chi, per scelte personali, desideri accedere a questo tipo di procedure procreative.