Prosegue il calo nascite. Nel 2013 sono state 512 mila, 23 mila in meno del 2012.
Pubblicato il Rapporto sull’evento nascita in Italia 2013 realizzato dal Ministero della Salute. Nell’88,3% il parto avviene negli ospedali pubblici. L’età media per il primo figlio delle donne italiane è di 32,7 anni. Scende il numero di figli per donna (1,39). Mentre 1,66 gravidanze ogni 100 sono effettuate con la Pma. Un parto su cinque è di una donna straniera.
11 NOV – In Italia nel 2013 ci sono state 512.327 nascite. Oltre 23 mila in meno rispetto al 2012 quando erano state 535.428. Sempre alto il numero dei parti cesarei pari al 35,5%. Per il luogo del parto quasi 9 donne su 10 scelgono il pubblico. Questi alcuni numeri del Rapporto sull’evento nascita in Italia 2013, realizzato dal Ministero della Salute – Ufficio di Statistica della Direzione Generale della digitalizzazione, del sistema informativo sanitario e della statistica. Il documento presenta le analisi dei dati rilevati dal flusso informativo del Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP) dell’anno 2013.
La rilevazione 2013, con un totale di 526 punti nascita, presenta un elevato livello di completezza. Si registra un numero di parti pari al 100,3% di quelli rilevati con la Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO) ed un numero di nati vivi pari al 99,6% di quelli registrati presso le anagrafi comunali nello stesso anno. La qualità dei dati risulta buona per gran parte delle variabili, in termini sia di correttezza sia di completezza.
L’ 88,3% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, l’11,7% nelle case di cura private (accreditate o non accreditate) e solo lo 0,1% altrove. Naturalmente nelle Regioni in cui è rilevante la presenza di strutture private accreditate rispetto alle pubbliche, le percentuali sono sostanzialmente diverse. Il 61,9% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui. Tali strutture, in numero di 183, rappresentano il 34,7% dei punti nascita totali. L’8,6% dei parti ha luogo invece in strutture che accolgono meno di 500 parti annui.
Nel 2013, il 20% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Tale fenomeno è più diffuso al Centro-Nord dove oltre il 25% dei parti avviene da madri non italiane; in particolare, in Emilia Romagna e Lombardia, il 30% delle nascite è riferito a madri straniere. Le aree geografiche di provenienza più rappresentative, sono quella dell’Africa (25%) e dell’Unione Europea (26%). Le madri di origine Asiatica e Sud Americana sono rispettivamente il 18% e l’8% di quelle non italiane.
L’età media della madre è di 32,7 anni per le italianementre scende a 29,7 anni per le cittadine straniere. I valori mediani sono invece di 32,5 anni per le italiane e 29 anni per le straniere. L’età media al primo figlio è per le donne italiane quasi in tutte le Regioni superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 27,9 anni.
Nel 2013 prosegue la diminuzione della fecondità avviatasi dal 2010: nel 2013 il numero medio di figli per donna scende a 1,39 (rispetto a 1,46 del 2010)
Delle donne che hanno partorito nell’anno 2013 il 44,2% ha una scolarità medio alta, il 29,9% medio bassa ed il 25,9% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (48,3%).
L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 57% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 29,8% sono casalinghe e il 10,9% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2013 è per il 53,1% quella di casalinga, mentre il 63,9% delle madri italiane ha invece un’occupazione lavorativa.
Nell’86% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 72,8% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita a partire dalla 12° settimana è pari al 2,6% mentre tale percentuale sale al 12,3% per le donne straniere. Le donne con scolarità bassa effettuano la prima visita più tardivamente rispetto alle donne con scolarità medio-alta: la percentuale di donne con titolo di studio elementare o senza nessun titolo che effettuano la prima visita dalla 12° settimana di gestazione è pari al 11,2% mentre per le donne con scolarità alta la percentuale è del 2,6%. Anche la giovane età della donna, in particolare nelle madri al di sotto dei 20 anni, risulta associata ad un maggior rischio di controlli assenti (3,8%) o tardivi (1° visita effettuata oltre l’undicesima settimana di gestazione nel 13,7% dei casi). Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive, sono state effettuate in media 10,6 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 31,81% dei casi.
La donna ha accanto a sé al momento del parto (esclusi i cesarei) nel 91,6% dei casi il padre del bambino, nel 7,01% un familiare e nell’1,38% un’altra persona di fiducia. La presenza di una persona di fiducia piuttosto che di un’altra risulta essere influenzata dall’area geografica.
Si conferma il ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. In media, il 35,5% dei parti avviene con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. Rispetto al luogo del parto si registra un’elevata propensione all’uso del taglio cesareo nelle case di cura accreditate in cui si registra tale procedura in circa il 53,8% dei parti contro il 33,1% negli ospedali pubblici. Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere: si ricorre al taglio cesareo nel 28,5% dei parti di madri straniere e nel 37,3% nei parti di madri italiane.
L’1,1% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi ed il 6,3% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 99,4% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10.
Sono stati rilevati 1.362 nati morti corrispondenti ad un tasso di natimortalità, pari a 2,66 nati morti ogni 1.000 nati, e registrati 3.963 casi di malformazioni diagnostiche alla nascita. L’indicazione della causa è presente rispettivamente solo nel 24,1% dei casi di natimortalità e nel 77,7% di nati con malformazioni.
Il ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta effettuato in media 1,66 gravidanze ogni 100. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI).
L’analisi dei parti classificati secondo Robson indica che le classi più rappresentate sono quelle delle madri primipare a termine, con presentazione del feto cefalica (classe 1) e delle madri pluripare a termine, con presentazione del feto cefalica, che non hanno avuto cesarei precedenti (classe 3); queste due classi corrispondono complessivamente a circa il 54% dei parti classificati che si sono verificati a livello nazionale nell’anno 2013. I parti nella classe 5, relativa alle madri con pregresso parto cesareo, rappresentano il 10,6% dei parti totali classificati a livello nazionale.
La rilevazione – istituita dal Decreto del Ministro della sanità 16 luglio 2001, n. 349 Regolamento recante “Modificazioni al certificato di assistenza al parto, per la rilevazione dei dati di sanità pubblica e statistici di base relativi agli eventi di nascita, alla natimortalità ed ai nati affetti da malformazioni” – costituisce a livello nazionale la più ricca fonte di informazioni sanitarie, epidemiologiche e socio-demografiche relative all’evento nascita, rappresentando uno strumento essenziale per la programmazione sanitaria nazionale e regionale.
In particolare, il flusso informativo del CeDAP è strutturato in sei sezioni, ciascuna delle quali raccoglie specifiche informazioni riferite al punto nascita, ai genitori, alla gravidanza, al parto e al neonato, nonché gli eventi di natimortalità e l’eventuale presenza di malformazioni congenite. La peculiarità ed ampiezza delle informazioni raccolte da parte dell’ostetrica o dal medico che ha assistito al parto, nonché dal medico accertatore nei casi di natimortalità, rende particolarmente complessa la rilevazione dei dati.
I flussi informativi trasmessi semestralmente da parte delle Regioni al Ministero, vengono sottoposti alle necessarie verifiche di completezza e qualità, allo scopo di garantire accuratezza ed attendibilità, nonché confrontabilità a livello territoriale e nel tempo, delle informazioni statistiche pubblicate nel Rapporto CeDAP nazionale.
Rispetto alle precedenti edizioni, nel Rapporto 2013 vi è un’importante novità introdotta nel Capitolo 9, riguardante la classificazione di Robson, proposta nel Febbraio 2015 dall’Organizzazione mondiale della sanità come standard globale per la valutazione, il monitoraggio e il benchmarking longitudinale e trasversale sul ricorso al taglio cesareo.
La costruzione delle classi di Robson e le successive analisi sono state realizzate grazie alle informazioni rilevate nella fonte informativa del CeDAP. La classificazione di Robson permette di analizzare e descrivere in maniera clinicamente rilevante, standard, analitica e riproducibile nel tempo e nello spazio la frequenza dei tagli cesarei. Mediante questo strumento i parti sono classificati in dieci gruppi sulla base dei principali concetti ostetrici e dei relativi parametri: parità, genere del parto, presentazione fetale, età gestazionale, modalità del travaglio e del parto e pregresso taglio cesareo. Le classi che si ottengono sono mutuamente esclusive, completamente inclusive, ripetibili nel futuro, e consentono quindi di monitorare e analizzare in un’ottica operativa i tassi di taglio cesareo tanto a livello locale che nazionale.
I risultati delle analisi dei dati CeDAP permettono di studiare l’appropriatezza del ricorso al taglio cesareo nelle Regioni italiane utilizzando le classi di Robson. In particolare, la suddivisione in classi di rischio clinico, consente di individuare quelle teoricamente a minor rischio, che includono in tutte le Regioni una percentuale molto elevata delle nascite. In tali classi (parti nelle classi di Robson 1 e 3) si osserva una forte variabilità regionale del ricorso al TC. Tale variabilità si ripercuote nella diversa frequenza del cesareo pregresso nelle Regioni (parti nella classe di Robson 5). Si osservano anche significative differenze tra le Regioni nel tasso di TC, dopo un precedente parto cesareo.
In generale, l’ampia variabilità del ricorso al cesareo rilevata nelle Regioni, attraverso le classi di Robson, conferma la possibilità di significativi miglioramenti delle prassi organizzative e cliniche adottate nelle diverse realtà, ai fini dell’appropriatezza del percorso nascita e della riduzione del taglio cesareo.
Fonte http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=33311