“Sei stato partorito da una madre surrogata”. Se vale la pena di raccontare la verità al bambino e come farlo

La maternità surrogata e l’ovodonazione oramai sono diventate

procedure talmente note e richieste che sorgono, naturalmente, delle domande di

carattere psicologico. Vale la pena di raccontare al figlio la storia della sua nascita? E’

opportuno precisare cosa hanno fatto i genitori per farlo venire in questo mondo?

I metodi di medicina riproduttiva come maternità surrogata e donazione

di ovuli aiutano migliaia di coppie infertili a diventare genitori. Dopo molti anni di

tentativi mirati senza successo e la sensazione di quasi disperazione nei confronti del

proprio futuro, finalmente arriva un valido e sicuro rimedio. La maternità surrogata è

l’unico modo di avere figli geneticamente propri per le donne che, per esempio, non

hanno utero o che soffrono di gravi malattie. Molte famiglie che fanno ricorso

all’aiuto delle madri surrogate, prima o poi, si pongono la domanda di come dire al

figlio che il suo concepimento non sia avvenuto in modo del tutto naturale e se vale la

pena di raccontarglielo.

 

La domanda non ha una risposta precisa e solida “sì, è necessario

raccontarlo” o “no, non bisogna dirlo”. Ci sono famiglie che ritengono sia

indispensabile raccontare al bambino della maternità surrogata e/o donazione di

ovuli, ma ci sono anche delle coppie che preferiscono tenerlo nascosto per tutta la

vita. Sia gli uni che gli altri hanno perfettamente diritto a farlo e non possono esserne

oggetti di accuse o rimproveri. Comunque bisogna considerare anche il fatto che

prima o poi nella vita può capitare una vicina “buona” che svelerà il vostro “segreto”

e racconterà tutta la storia a vostro figlio nei minimi dettagli aggiungendo la propria

fantasia e immaginazione.

 

Ci sono delle coppie che tollerano tranquillamente l’esistenza della

maternità surrogata nella loro vita. Ma ci sono anche genitori che una volta fatto

ricorso ai metodi della PMA vorrebbero escludere questo fatto dalla loro quotidianità

e non parlarne nemmeno con gli amici e parenti. Tali famiglie, una volta finito con

successo il programma, fanno di tutto per dimenticare il fatto di partecipazione di una

madre surrogata nella loro vita e soprattutto il fatto che il bambino è stato partorito da

una donna estranea.

 

Se tuttavia avete deciso di raccontare al figlio delle tecnologie moderne

per mezzo di cui era stato nato, è necessario addottare un approccio corretto. Per

riuscirci vi può dare una mano un psicologo professionista specializzato nella

questione. Innanzitutto bisogna chiedere consiglio su come impostare al meglio tale

discorso. In seguito prima di passare all’argomento in questione scegliete le parole e

una maniera di narrare addatte al livello di comprensione del bambino in modo che

tutto sia chiaro e interessante. Bisogna tener sempre presente che la madre surrogata è

solo la donna che ha portato avanti la gravidanza. Lei e il feto non hanno alcun

legame genetico. Nel futuro il bambino non avrà somiglianze con la madre surrogata,

né fisica né quella psicologica. Non c’è neanche necessità di far conoscere il bambino

e la donna che l’ha dato alla luce. Cercate di accettare il ricorso alla maternità

surrogata come una procedura medica necessaria per avere vostro figlio. Dopotutto i

donatori di ovuli, le madri surrogate e i dottori fanno parte del personale madico che

vi aiuta a realizzare il vostro sogno di avere figli sani e desiderati.

Oggi è possibile incontrare molte coppie che accettando di fare la

donazione di ovuli e l’inseminazione artificiale già in anticipo iniziano a pensare

come dire al futuro figlio che lui è “un bambino concepito in vitro” e alla sua

“creazione” ha partecipato una donna estranea, donatrice di ovuli.

 

La domande restano sempre invariate: il bambino deve sapere come è

venuto al mondo?; quando è meglio raccontarglielo?; quali parole scegliere per fargli

capire cos’è la FIVET?; vale la pena presentare la donatrice di ovuli al bambino? Gli

psicologi sostengono che l’interesse cognitivo del bambino non dipenda dal modo in

cui è stato concepito oppure partorito, al di là del fatto se i genitori vogliono o non

vogliono raccontare al figlio della FIVET. Prima o poi il bambino farà lo stesso la

domanda aspettata. Qui i genitori devono ricordare che le spiegazioni dei processi

così difficili devono considerare l’età del bambino. Bisogna dirgli che è stato

concepito “in vitro” soltanto se lo chiede direttamente. Innanzitutto bisogna

raccontare come nascono i bambini di solito e in seguito, approssimativamente all’età

di 8 anni, si può raccontare del metodo FIVET se tale approfondimento è necessario.

E’ opportuno precisare che solo i genitori che vogliono figli ma per i motivi di salute

non possono averli ricorrono a questa tecnica. Non bisogna entrare nei dettagli del

processo, è inutile per un bambino di quest’età. Spiegategli senza troppe emozioni che

lo volevate tantissimo ed era l’unico modo; ma ora non conta piu’, importante è che

adesso siate insieme. La cosa piu’ significativa in una famiglia è il sentimento di

sostegno, fiducia e amore reciproco.

 

Per quanto riguarda la presentazione della donatrice di ovuli al bambino,

molti esperti concordano che sia un passo inutile. Fra l’altro non è sempre possibile

farlo. In molte cliniche la procedura di donazione è anonima. Vuol dire che i clienti

non vedono e non parlano con la donatrice di cui gli ovociti sono stati usati nel

programma. Quello che importa è un’alta qualità di ovuli, una buona salute e l’assenza

di qualsiasi deviazione fisica e psicologica alla donatrice. Perciò, perfino con una

grande voglia da parte dei genitori di far conoscere la donatrice al figlio,

probabilmente non sarà possibile farlo. E ne vale la pena? Rifletteteci. Forse non

serve fare un dramma e preoccuparsi del problema inventato lo stesso da voi.

L’apparizione del bambino in una famiglia infertile è un evento fantastico e una

grande felicità. E il fatto che ci sia stata una donatrice che ha dato i propri ovociti è

un elemento che può essere tranquillamente trascurato.