Tumori al collo dell’utero: il test del DNA ✿
I tumori al collo dell’utero sono una delle patologie oncologiche più diffuse nella popolazione femminile mondiale.
In Italia questo tipo di tumore è frequente, ma ha un’incidenza molto più contenuta rispetto ad altri paesi, grazie all’efficace programma di prevenzione messo in atto da anni dal Sistema Sanitario Nazionale.
Una nuova metodica diagnostica genetica permetterà di effettuare test più efficaci, che ridurranno ulteriormente i numeri di questa patologia. Al momento in Italia si registrano circa 3700 nuovi casi ogni anno.
Con la definizione di tumori del collo dell’utero, si indicano i carcinomi e gli adenocarcinomi che possono svilupparsi a partire dall’epitelio di rivestimento uterino.
L’agente causale principale della patologia è il papillomavirus umano (HPV). Questo microorganismo è normalmente responsabile di semplici infezioni genitali, ma in alcuni casi può provocare infezioni persistenti portando allo sviluppo di lesioni precarcinomatose preludio di possibili sviluppi tumorali.
Le infezioni genitali batteriche ricorrenti ed il tabagismo sembrano aumentare la probabilità di sviluppo della neoplasia.
Al momento attuale la prevenzione per i tumori del collo uterino si basa sulla vaccinazione e sugli esami di screening periodico.
Il vaccino anti Papillomavirus è un mezzo efficace per prevenire le infezioni virali e quindi lo sviluppo di tumore.
Il vaccino però è pienamente efficace solo se effettuato prima del contatto con il virus.
I test di screening prevedono la valutazione periodica della mucosa uterina da campioni di materiale prelevato con tampone.
La metodica classica, definita Pap test, prevede una valutazione citologica del campione tramite la tecnica messa a punto dal dott. G. Papanicolaou un secolo fa.
L’esame consiste in una valutazione al microscopio delle cellule prelevate alla ricerca di eventuali alterazioni morfologiche indicative di tumore.
Recentemente è stata introdotta una nuova metodica più efficace basata sul rilevamento diretto della presenza di papillomavirus, il test HPV.
Questo individua la presenza di DNA virale nelle cellule prelevate indicando non solo le lesioni già presenti, ma anche la possibilità di svilupparne in futuro.
Studi recenti hanno confermato la reale utilità della metodica.
Uno studio retrospettivo pubblicato sulla rivista The Lancet Oncology ha saggiato l’efficacia dei due test confrontando i dati raccolti su un campione di 176.464 donne europee tra i 26 ed i 64 anni.
Il test HPV ha avuto un valore diagnostico migliore in circa il 70% dei casi suggerendo la possibilità di aumento dell’intervallo temporale tra controlli periodici a 5 anni.
Uno studio pubblicato a gennaio sulla stessa rivista dimostra l’effettiva validità di questa procedura diagnostica anche su campioni raccolti autonomamente (al di fuori dell’ambito ospedaliero) dalle pazienti.
La ricerca ha valutato i dati di 154.556 donne ed ha evidenziato come il test mantenga la stessa sensibilità indipendentemente dal tipo di metodica utilizzata per la raccolta del campione.
Queste ricerche aprono la strada all’istituzione di programmi di prevenzione più efficaci, usufruibili più facilmente dalle donne di qualsiasi parte del mondo.
Fonte, http://www.mammole.it/tumore-utero-test-dna/