Che figo il papà-nonno
Montezemolo, Barbareschi, Passera, Sposini, Placido. E con loro, migliaia di uomini che tornano genitori, di solito al secondo matrimonio. Scoprendo una paternità più appagante e completa
Capelli bianchi e un bebè in braccio. Passi che in Italia si diventi adulti più tardi che altrove. Passi pure che i padri nazionali siano i più vecchi di tutti: 35 anni la media per il primo figlio, già record europeo. L’ultima fotografia degli italiani ritrae uomini non solo senza fretta, ma impegnatissimi a dribblare la loro età. Per estendere, indefinitamente, il tempo della paternità.
Senza il clamore suscitato dalle maternità ai tempi supplementari, l’estate di Gianna Nannini prossima mamma a 54 anni è stata anche la stagione dei papà non più giovanissimi: come Phil Collins, ex batterista dei Genesis e padre di due bambini di cinque e nove anni, che annuncia l’addio alle scene a 60 anni perché “rivuole indietro la sua vita” e soprattutto tempo per stare con loro: “Non voglio ripetere gli errori che ho fatto con i tre figli più grandi”. Come il presidente della Ferrari Luca di Montezemolo, che ad agosto, a 62 anni, è diventato padre di Lupo e genitore per la quinta volta. Come Luca Barbareschi, 54 anni, tre figlie e ora una neonata di nome Maddalena.
“Non solo è bellissimo. Induce a pensare al futuro ancora più a lungo”, ha detto il banchiere Corrado Passera, 56 anni, a proposito della terza figlia, Luce, due mesi. Ne ha qualcuno in più Nathan Falco, l’erede del sessantenne Flavio Briatore. Esibiscono la loro paternità matura Gianfranco Fini, che l’anno scorso, a 57 anni, ha avuto la sua terza figlia, e Michele Placido, un figlio di quattro anni (il quinto) a 30 di distanza dalla primogenita, l’attrice Violante.
“Non ho dubbi: è meglio essere padre adesso”. Parole del giornalista Lamberto Sposini, a 58 anni padre di una bimba piccola e al tempo stesso già due volte nonno: “A mia figlia dedico tempo e cure mature”. Spesso fieramente esibite, tanto che il fenomeno dei papà tardivi appassiona i sociologi e diventa tendenza vistosa. Ma chi sono, poi, questi uomini? Un’avanguardia che ridefinisce la virilità contemporanea? L’emblema di una generazione che dalla vita ha avuto (quasi) tutto, e vuole ancor di più?
“Le ragioni sono varie e semplici”, interviene Elisabetta Ruspini, docente alla facoltà di Sociologia dell’Università di Milano-Bicocca e autrice di vari saggi sui “nuovi genitori”: “Oggi le famiglie si formano tardi, e una volta sposati marito e moglie spesso scelgono di stare ancora per un po’ liberi, da soli: così spostano ancora più in là la nascita del primo figlio. Non solo: ci sono i figli di famiglie ricostituite, con fratelli probabilmente già grandi, nati da unioni precedenti. Questi casi sono la parte più nuova, più interessante del fenomeno: si esce dagli schemi dettati dal cosiddetto “orologio biologico” e dall’idea che l’amore, la sessualità, l’istinto a procreare appartengano solo a certe età della vita. Si entra in universi familiari all’insegna della creatività. In una genitorialità, cioè, veramente nuova, che ha a che fare solo con l’amore”.
Le statistiche confermano: se negli ultimi dieci anni è raddoppiato il numero delle mamme ultraquarantenni, i padri oltre i 50 sono aumentati del 44 per cento (rilevazione tra il 2000 e il 2005, in attesa di aggiornamento). Non succede solo in Italia: il National Center for Health Statistics degli Stati Uniti ha appena annunciato il boom di maternità e paternità tra i 45 e i 64 anni. In Francia, dove il fenomeno è vistosamente in crescita, sociologi come Geneviève Delaisi de Parseval (in “Famille à tout prix”) e filosofi come Serge Hefez (“Dans le coeur des hommes”), elogiano le paternità tardive come le più felici. Le più utili, anche per i papà più giovani, per reinventare insieme il ruolo di padre.
Perché la novità è che oggi avere figli tardi non è faccenda da privilegiati, padri in età in cui il resto del mondo è nonno: da Michael Douglas, due figli piccoli a 66 anni, a supermanager come Franco Tatò, una figlia a 70 anni, fino ai ricchi alla Luciano Gaucci, settantenne padre di un bimbo di cinque. Versioni più complesse, e sfaccettate, della mascolinità, i padri maturi prendono forma da una costola di quella cultura nuova della paternità, più attenta, più flessibile, più disponibile a condividere le responsabilità familiari che in passato. “Paternità di qualità”, la chiamano i sociologi. “A 20, a 40, a 60, ciò che conta è lo sforzo di essere un buon padre”, aggiunge Ruspini: “Va detto che i padri anziani sono socialmente valutati più positivamente di quelli molto giovani. È probabile che tenderanno a investire molto nel rapporto con i figli, sapendo di non avere tantissimo tempo a disposizione. Se hanno una vita professionale molto densa, se ricoprono ruoli molto importanti, dovranno far attenzione a non rappresentare per i figli modelli ingombranti, a tradurre l’autorità in autorevolezza. Un padre con più esperienza presumibilmente non ripeterà gli errori commessi con figli precedenti”.
L’ha spiegato bene l’ex sindaco di Bologna Sergio Cofferati, “padre robustamente attempato” – come si è definito – del piccolo Edoardo, che qualche anno fa ha suscitato con la decisione di anteporre la vita privata a quella politica curiosità e rispetto: “A vent’anni pensi delle cose, a 60 è tutto completamente diverso. Mai più le assenze che ho fatto subire al mio primo figlio”. Sono padri “indoor” questi, quando se lo possono permettere, spesso più delle madri. E la loro disponibilità a occuparsi dei figli sfiora a volte la dedizione assoluta.
“Trascorro con mio figlio tutto il tempo possibile. E se ho altro da fare, se mi capita di uscire con gli amici, se per impegni di lavoro non posso stare con lui, mi sento subito in colpa”, ammette lo scrittore Vito Bruno, che al suo bambino ha dedicato una lettera struggente e bellissima: “L’amore alla fine dell’amore” (Elliot): “Ho la sensazione di aver afferrato all’ultimo minuto un’esperienza che altrimenti non avrei mai vissuto. E questo fa sì che di mio figlio non vorrei perdermi neppure un istante. Sono talmente affascinato dalla sua crescita e dalla sua scoperta del mondo che a volte temo di soffocarlo di attenzioni. Cerco di controllarmi. Ma istintivamente sono portato ad apprezzare e a valorizzare ogni momento che trascorriamo insieme”.
Insomma, la specie sta mutando.
Disponibilità e sensibilità al maschile delineano una paternità inedita. E le conseguenze sono tutte da analizzare. Per i bambini, in primo luogo: quanto incide la realistica prospettiva di rimanere soli prima di chi ha un padre più giovane? Quanto pesa l’immagine di un papà più anziano degli altri? Quanto influisce, e ingombra, il modello di un genitore che è generalmente al top della sua carriera?
“Ci sono i pro e i contro”, riflette Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello Sviluppo all’Università La Sapienza di Roma: “Gli uomini più maturi sono più disponibili all’ascolto, mentre quelli molto giovani, che pure hanno più energia e curiosità tali da essere più vicini allo spirito infantile, rischiano di essere troppo concentrati su di sé, e di caricare sui loro figli le ansie della propria realizzazione. D’altra parte, il rischio dei padri anziani è che siano iperprotettivi, più nonni che genitori: dovranno tenere questo aspetto sotto controllo. Se il divario d’età è molto alto potranno esserci difficoltà a calarsi nel linguaggio e nelle esigenze dei figli: più che da piccoli, accadrà durante l’adolescenza, che risente molto dei cambiamenti culturali dei tempi. Decisivo sarà il contributo degli altri figli, se ci sono fratelli più grandi. E della mamma, probabilmente più giovane e perciò in grado di bilanciare gli atteggiamenti del padre”.
Per il resto, la vera fatica è psicologica: “Più che il fisico è lo spirito che conta”, sottolinea la psicologa: “Un genitore maturo ha l’obbligo di essere dinamico, di fare sport, di mantenersi in forma, di avere verso la vita un atteggiamento di apertura e di curiosità. L’aspetto psicologico fa passare in secondo piano i segni fisici della vecchiaia, ai bambini non importerà che il proprio padre abbia le rughe o i capelli bianchi. Se i padri se la sentono, non ci sono limiti di età”.
E i padri, se la sentono, eccome: “Un figlio a 50 anni? Fa benissimo: un allenamento fisico e mentale straordinario”, ha detto il cantautore Enrico Ruggeri, 53 anni, padre di un bimbo di cinque. E mentre “Fatherhood”, saggio di due antropologi americani, Peter Gray e Kermyt Anderson, che hanno viaggiato negli ultimi dieci anni da Boston a Cape Town, dal Kenya alla Giamaica, per osservare l’evoluzione della paternità, mette in guardia dai rischi psicologici di essere genitori troppo presto ed elogia al contrario i piaceri della maturità. Il rocker Rod Stewart conferma che tardi è bello, dall’alto dei suoi otto figli: il piccolo di quattro anni e mezzo, la grande nata nel 1964, e un altro in arrivo. A 66 anni.
Fonte: http://espresso.repubblica.it/visioni/societa/2010/09/22/news/che-figo-il-papa-nonno-1.24338